• Skip to primary navigation
  • Skip to main content
  • Skip to primary sidebar
  • Skip to footer

Giornale politico della fondazione per la critica sociale

  • Home
  • Chi siamo
  • Privacy Policy
  • Accedi
Home » Articoli » La Spagna appesa ai catalani

La Spagna appesa ai catalani

Nel dopo elezioni non c’è maggioranza né a destra né a sinistra per la formazione di un governo. Ma gli indipendentisti di Puidgemont possono fare la differenza. Il Psoe di Sánchez e i popolari di Feijóo hanno un paio di mesi per cercare una soluzione, poi c’è la prospettiva di nuove elezioni

8 Settembre 2023 Vittorio Bonanni  142

Sánchez nelle mani degli indipendentisti. Dopo le elezioni del 24 luglio scorso (di cui ci siamo occupati su “terzogiornale” qui e qui), vinte dal Partito popolare di Alberto Núñez Feijóo (al quale il re ha affidato, come da prassi, il compito di tentare di formare un esecutivo, pur senza i numeri in parlamento), ma perse dal suo alleato principale i neofranchisti di Vox, i giochi sono assolutamente aperti. Il Psoe (Partito socialista operaio spagnolo) ha sostanzialmente tenuto, mentre la sinistra radicale Sumar (che significa “aggregare”, e che di fatto si è sostituita a Podemos) della ministra del lavoro Yolanda Díaz ha ottenuto un buon risultato. Ma, come per la destra, anche in questo caso non ci sono i numeri per un nuovo governo che permetta al leader socialista di restare alla Moncloa. Per questo il sostegno dei sette deputati di Junts, il partito indipendentista catalano, è dirimente.

La condizione principale posta da Carles Puigdemont – fuggito a Bruxelles dove si trova da sei anni per evitare il mandato di cattura emesso dalla magistratura di Madrid – è l’amnistia per gli indipendentisti. Il leader catalano, promotore delle durissime contestazioni del 2017 per l’indipendenza della regione e del referendum bocciato dal Tribunale costituzionale della Spagna, vuole aprire una nuova fase politica che favorisca il dialogo tra Madrid e Barcellona. Un “compromesso storico”, come lo ha chiamato l’ex presidente della Generalitat de Catalunya, per negoziare con “quanti hanno criminalizzato e represso la nostra attività politica”. Servono appunto un’amnistia e un dialogo che mettano da parte ogni tentazione “giudiziaria” per affrontare e risolvere le rivendicazioni indipendentiste. “Nelle prossime settimane – ha detto Puigdemont – saremo pronti a negoziare questo storico accordo ma solo se si creeranno le condizioni per un progetto ambizioso, altrimenti sarebbe del tutto privo di senso avviare una trattativa”. E ancora: “La domanda qui non è se siamo pronti per i negoziati. La domanda è se i due grandi partiti politici spagnoli sono pronti per i negoziati con noi”.

Il leader catalano insiste affinché venga indetto, ancora una volta, un referendum per l’autodeterminazione che potrebbe avviare l’inizio della fine dello Stato spagnolo così com’è ora. Ma questo non ferma il dialogo tra il governo ancora in carica e i catalani. Lunedì 4 settembre c’è stato un importante incontro tra Puigdemont e la ministra del Lavoro Yolanda Díaz, prima politica a recarsi in Belgio dopo gli eventi del 2017. “Ho parlato con il leader catalano – ha detto la ministra – e vi posso dire che avremo un governo in Spagna. La Catalogna – ha sottolineato l’esponente della sinistra radicale spagnola – non deve essere vista come un problema, ma come un’opportunità: è un Paese diverso, con la sua lingua, con la politica probabilmente diversa, però, comunque, la diversità rappresenta la nostra ricchezza, saremo migliori grazie alla diversità. Sì, avremo un governo progressista in Spagna”. Dal canto suo, il leader catalano ha precisato come “l’incontro che abbiamo avuto con Yolanda Díaz, Jaume Asens e Antoni Comín (altri due leader separatisti catalani) fa parte della normalità democratica nell’Unione europea. Il dialogo e le relazioni politiche tra formazioni di ideologie diverse non dovrebbero essere una sorpresa, né un’eccezione”.

La genesi di questo evento è comunque avvolta nel mistero, o quanto meno rivela una mancanza di coordinamento tra le due principali forze di governo. I socialisti sostengono che solo nella serata di domenica, dunque poche ore prima, sarebbero stati avvisati del meeting. Anche da Unidas Podemos, e più esattamente dal deputato Javier Sánchez, sono arrivate lamentele perché il suo partito, ormai quasi assorbito da Sumar, non sarebbe stato informato dell’incontro. Al riguardo, vanno segnalate altre due stranezze in questo complicato percorso che dovrebbe confermare l’esecutivo di sinistra. Da un lato, la “sincronicità” dei due comunicati firmati sia da Díaz sia da Sánchez, che sottolineano all’unisono la disponibilità ad ascoltare le richieste dei catalani. La domanda che sorge spontanea è perché non abbiano fatto un comunicato congiunto. Dall’altro, come dicevamo, la comunicazione tardiva del viaggio a Bruxelles di Díaz a Sánchez, malgrado i due lavorino, com’è ovvio, a contatto di gomito.

Contro questa probabile intesa si è scatenato un fuoco di sbarramento messo in atto, ovviamente, dall’opposizione, ma anche da esponenti socialisti. In primo luogo l’ex premier (1982-1996) Felipe González, che rappresenta l’ala più moderata del partito, non ha mai nascosto la disponibilità a un eventuale sostegno a un governo tra il Partito popolare e i socialisti. “La Costituzione non è un chewing gum, non entrano né l’amnistia né l’autodeterminazione”, ha dichiarato l’ex presidente.  

La condanna dei popolari, scontata, si affianca alla richiesta di realizzare proprio un governo di unità nazionale, che tanto piacerebbe a Bruxelles, mettendo ai margini Vox, da un lato, e Sumar dall’altro, oltre che ovviamente gli indipendentisti. “Con l’incontro Díaz-Puigdemont – ha detto il deputato popolare Borja Sémper – abbiamo la conferma che Pedro Sánchez preferisce governare con un fuggitivo, anche a spese di tutti gli spagnoli, piuttosto che una legislatura basata su grandi accordi a beneficio di tutti gli spagnoli”. Il riferimento è alla proposta di un patto che Feijóo aveva fatto a Sánchez, ma da quest’ultimo rifiutato. Durissima la condanna del leader di Vox, Santiago Abascal, che ha definito “estremamente grave che il governo si trovi oggi (il riferimento è al citato incontro a Bruxelles con Díaz, ndr) con un uomo condannato dalla giustizia spagnola, cosa che non accade in nessuna parte del mondo”.

Ora Sánchez e Feijóo hanno un paio di mesi per far mettere ai voti una nuova coalizione. Attualmente la destra dispone di 176 seggi mentre la sinistra ne ha 171. Numeri che non sono sufficienti per arrivare a proporre un esecutivo stabile. Per Sánchez, come abbiamo visto, le prospettive sono all’insegna dell’ottimismo, anche perché Junts non potrà mai sostenere una coalizione di destra, soprattutto per la presenza di Vox. Se il premier dovesse arrivare a un’intesa con Puigdemont, resterebbero aperti problemi non esattamente secondari quali la modifica di una Costituzione che non prevede la possibilità di secessione, un’ipotesi che entrambi gli attori di questa trattativa, del resto, sanno non essere praticabile. Ma il leader catalano è consapevole che, qualora non arrivasse a conclusione la trattativa con la sinistra, sarà costretto a restare a Bruxelles. Se entro un paio di mesi nessuno avrà i numeri per governare, si andrà a votare presumibilmente entro gennaio 2024. A quel punto, vedremo quale sarà la scelta degli spagnoli e delle spagnole in un Paese destinato in ogni caso a essere spaccato in due.

Nella foto: Carles Puigdemont e Yolanda Díaz

Archiviato inArticoli
Tagsamnistia Carles Puigdemont dopo elezioni Spagna 2023 indipendentisti catalani Pedro Sánchez Spagna Vittorio Bonanni Yolanda Diaz

Articolo precedente

Dalla democrazia politica alla democrazia delle emozioni

Articolo successivo

Il termovalorizzatore di Roma nelle mani dei giudici

Vittorio Bonanni

Articoli correlati

Il Pd nel solito tran tran

In Israele la sfida dei giovani renitenti alla leva

I Brics verso l’allargamento

Israele nella bufera

Dello stesso autore

Il Pd nel solito tran tran

In Israele la sfida dei giovani renitenti alla leva

I Brics verso l’allargamento

Israele nella bufera

Primary Sidebar

Cerca nel sito
Ultimi editoriali
I migranti, i 5 Stelle e il Pd
Rino Genovese    22 Settembre 2023
Studenti sotto le tende
Agostino Petrillo    21 Settembre 2023
Wokismo e antiwokismo nella politica contemporanea
Rino Genovese    19 Settembre 2023
Ultimi articoli
La Cgil riparte dalla società
Paolo Andruccioli    25 Settembre 2023
Guatemala, un presidente a rischio
Claudio Madricardo    22 Settembre 2023
Il Pd nel solito tran tran
Vittorio Bonanni    20 Settembre 2023
Morti sul lavoro, a chiacchiere tutti d’accordo (o quasi)
Paolo Barbieri    19 Settembre 2023
Caso Santanchè. Incredibile che sia ancora lì
Stefania Limiti    18 Settembre 2023
Ultime opinioni
Napolitano, il craxiano del Pci
Rino Genovese    25 Settembre 2023
La violenza giovanile maschile
Stefania Tirini    13 Settembre 2023
Per una scissione nel Pd
Nicola Caprioni*    12 Settembre 2023
Dalla democrazia politica alla democrazia delle emozioni
Massimo Ilardi    7 Settembre 2023
Il bagnasciuga di Giorgia Meloni
Giorgio Graffi    4 Settembre 2023
Ultime analisi
Tutti i progetti portano a Roma
Paolo Andruccioli    28 Luglio 2023
Roma riprende la cura del ferro
Paolo Andruccioli    21 Luglio 2023
Ultime recensioni
“Io capitano” di Garrone
Antonio Tricomi    21 Settembre 2023
L’ultima rivoluzione dell’industria
Paolo Andruccioli    20 Settembre 2023
Ultime interviste
Ecco perché a Brandizzo c’è stata una strage
Paolo Andruccioli    4 Settembre 2023
“La pace è un cammino”
Guido Ruotolo    6 Giugno 2023
Ultimi forum
Welfare, il nuovo contratto sociale
Paolo Andruccioli    4 Maggio 2023
C’era una volta il welfare
Paolo Andruccioli    27 Aprile 2023
Archivio articoli

Footer

Argomenti
5 stelle Agostino Petrillo Aldo Garzia ambiente cgil Cina Claudio Madricardo covid destra elezioni Emmanuel Macron Enrico Letta Europa Francesco Francia Germania Giorgia Meloni governo draghi governo meloni guerra guerra Ucraina Guido Ruotolo immigrazione Italia Joe Biden lavoro Luca Baiada Mario Draghi Michele Mezza Paolo Andruccioli Paolo Barbieri papa partito democratico Pd Riccardo Cristiano Rino Genovese Russia sindacati sinistra Stati Uniti Stefania Limiti Ucraina Unione europea Vittorio Bonanni Vladimir Putin

Copyright © 2023 · terzogiornale spazio politico della Fondazione per la critica sociale | terzogiornale@gmail.com | design di Andrea Mattone | sviluppo web Luca Noale

Utilizziamo cookie o tecnologie simili come specificato nella cookie policy. Cliccando su “Accetto” o continuando la navigazione, accetti l'uso dei cookies.
ACCEPT ALLREJECTCookie settingsAccetto
Manage consent

Privacy Overview

This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary
Sempre abilitato
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Non-necessary
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
ACCETTA E SALVA