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Il Sultano costretto al ballottaggio

In Turchia Erdoğan non ce la fa al primo turno. Il 28 maggio dovrà vedersela con lo sfidante kemalista. Una competizione elettorale ad altissima partecipazione, con la diffusione di alcuni video falsi tesi a screditare i candidati

16 Maggio 2023 Vittorio Bonanni  156

Turchia in bilico tra Oriente e Occidente, tra il passato e il presente. Si può sintetizzare in questo modo il risultato delle elezioni che si sono svolte in Turchia (vedi qui l’articolo del 28 aprile 2023), che costringerà i due principali contendenti a scontrarsi di nuovo al ballottaggio del prossimo 28 maggio. Il presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan, esponente del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), di matrice islamica, ha conseguito il 49,6% dei voti, mentre il kemalista Kemal Kilicdaroglu, rappresentante del Partito popolare repubblicano (Chp), ha raggiunto il 45% circa. Sinan Oğan del Partito del movimento nazionalista (Mhp) di estrema destra è arrivato al 5,3%, mentre Muharrem Ince del Partito della patria (Mp), che si è ritirato ufficialmente, è arrivato a un misero 0,4%. Il voto prevedeva il rinnovo dell’assemblea parlamentare con uno sbarramento del 7% per i partiti che si presentavano alla competizione elettorale.

Il dato straordinario di questa chiamata alle urne è stata l’altissima affluenza, intorno al 90%, pari ad oltre 64 milioni di elettori ed elettrici, dato inimmaginabile non solo nel nostro Paese ma in generale in Europa, e segno evidente della grande importanza di questa sfida. Secondo l’opposizione Erdoğan – da vent’anni al potere, prima come premier dal 2003 al 2014, e poi come capo dello Stato – ha improntato la sua presidenza nei termini di un pericoloso autoritarismo contro la libertà di stampa e delle donne, e all’insegna di una guerra senza quartiere nei confronti dell’opposizione e degli altri poteri dello Stato. Secondo i suoi avversari, una conferma del Sultano darebbe il colpo di grazia all’indipendenza della magistratura, renderebbe ancora più preoccupante la situazione dei diritti umani, già violati per la verità dagli stessi kemalisti, rappresentati appunto da Kilicdaroglu, che non hanno mai esitato a limitare anche i diritti sindacali, ma che con il leader islamico conoscerebbero un ulteriore giro di vite. Senza contare la gravissima crisi economica, sulla quale ci siamo già soffermati su “terzogiornale”, che da tempo affligge la popolazione turca, la cui metà ha tuttavia confermato la fiducia nei confronti del leader islamico.

La mancata vittoria di uno dei contendenti ha comportato un netto calo della Borsa di Istanbul, con indice Bist che dal 6,6% e sceso al 4.502 punti. Nel Paese, il voto è stato così distribuito: Kilicdaroglu si è affermato nelle grandi città, nella capitale Ankara e a Istanbul, dove il suo partito esprime già il sindaco, e in gran parte del Sud-est con una maggioranza di curdi, che evidentemente sperano in una qualche apertura da parte dei kemalisiti; Erdoğan si è aggiudicato il voto delle campagne e dei suoi abituali feudi. Qualora dovesse affermarsi, Kilicdaroglu dovrà comunque vedersela in parlamento con una maggioranza favorevole a Erdoğan, il cui partito ha conquistato 266 seggi contro i 169 del Chp nell’assemblea composta da 600 seggi. Un divario che solo in parte potrebbe essere colmato dai 62 seggi conquistati dal Partito della sinistra verde (Ysp), considerando che il partito di estrema destra, Mhp, con i suoi 50 seggi, sarà più propenso ad allearsi con Erdoğan che con un partito laico, apparentemente più spostato a sinistra rispetto ad altri partiti kemalisti che lo hanno preceduto.

A dimostrazione dei diversi punti di riferimento politici e culturali dei due leader, si è registrato, ventiquattr’ore prima dal voto, l’omaggio di Kilicdaroglu al mausoleo del padre della Repubblica di Turchia laica, Mustafa Kemal Atatürk, a cento anni dalla sua fondazione; mentre Erdoğan si recava a pregare a Santa Sofia, che decise di riconvertire in moschea nel 2021, come all’epoca della conquista ottomana di Costantinopoli. Per non farsi mancare nulla, in queste elezioni l’ha fatta da protagonista la tecnologia nella sua accezione peggiore, ovvero quell’intelligenza artificiale che può provocare più guai che vantaggi. È il caso dei deepfakes, che consentono di manipolare i video in modo quasi perfetto. A farne le spese, Muharrem Ince, uno dei candidati che compariva in un falso video porno, che però lo ha costretto incredibilmente a ritirare la candidatura. In un altro, si vede invece un guerrigliero del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) che cantava l’inno del partito di Kilicdaroglu. E in un altro ancora, sempre Kilicdaroglu, parlava perfettamente inglese tanto da ricevere i complimenti di un potenziale elettore. Gli utenti turchi di Internet sono rimasti sorpresi nello scoprire che si trattava di un falso. Episodi gravi e inquietanti, soprattutto se trovano cittadinanza in un Paese che non gioca esattamente un ruolo secondario nello scacchiere internazionale.

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