Un giorno, durante una seduta della commissione d’inchiesta sulle stragi, il senatore Francesco Cossiga, già capo dello Stato, si alzò e disse: “Quell’uomo è un folle”. Si riferiva a Vincenzo Vinciguerra, reo confesso di avere progettato ed eseguito nel 1972 l’attentato di Peteano: in effetti Cossiga non esagerava, l’ex ordinovista di Udine, con il suo crimine, aveva provocato la prima incrinatura fra estrema destra, carabinieri e Sid. Nel panorama della violenza politica in Italia, Vinciguerra è un’assoluta anomalia: avendo compreso il doppio gioco dell’ordinovismo e dell’avanguardismo, compromessi fino al midollo con le forze statali della sicurezza, se ne liberò denunciando dal carcere, con una infaticabile opera di ricostruzione, la verità storico-politica e il ruolo reale delle organizzazioni neofasciste nella guerra non convenzionale. Soprattutto spiegando che “tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia a partire dal 1969 appartengono a un’unica matrice organizzativa (…). Le direttive partono da apparati inseriti nelle istituzioni (…). Si tratta del gruppo che dette vita o aderì successivamente al centro studio Ordine nuovo di Pino Rauti, tale gruppo ha il suo baricentro nel Veneto, ma naturalmente ha agito anche a Roma e a Milano”.
Le motivazioni della sentenza di condanna contro Paolo Bellini (vedi qui e qui) dedicano largo spazio alla sua testimonianza nel corso del processo, ben tre paragrafi nel capitolo “Voci convergenti”(parte III, “I Mandanti”), spiegando la centralità di questa figura del neofascismo italiano senza la quale non avremmo oggi la lucida consapevolezza della guerra politica in Italia, collocandolo definitivamente tra le fonti di conoscenza dei protagonisti della strategia della tensione (lo aveva già fatto l’Archivio Flamigni, istituendo un Fondo con i suoi scritti). Vinciguerra “da anni depone nei processi, seguendo un percorso ricostruttivo animato da intenti di verità, sia pure nei limiti che egli stesso si è dato esplicitamente (non si è mai pentito, ndr), e al quale viene riconosciuta generale patente di attendibilità̀ (…), un osservatore che in 44 anni di carcere è stato in grado di acquisire informazioni rilevanti sul rapporto tra l’eversione di destra e gli apparati di Stato, sui meccanismi occulti che stanno dietro le vicende eversive degli anni Settanta e Ottanta, quando maturava la sua posizione di denuncia sulle collusioni delle organizzazioni della destra con apparati statali (…) ma anche delle inadeguatezze degli apparati di Stato e giudiziari nell’indagare e pervenire ad esiti di verità nei processi. Ha deposto centinaia di volte, ha scritto volumi interessanti e su di lui sono stati scritti, articoli, libri, inchieste giornalistiche. Nel nostro processo ha deposto in tre diverse occasioni. Si è guadagnato in 44 anni di dignitosa carcerazione il diritto ad essere ascoltato e sostanzialmente creduto nei limiti delle sue effettive conoscenze, mentre le opinioni che esprime da esperto conoscitore e ricostruttore di fatti ormai della storia possono essere valutate come ogni altra opinione che si nutre di esperienza fattuale”.
Così la Corte bolognese descrive Vinciguerra che alcuni accusano di scarsa coerenza, avendo approfittato dei servigi di Ordine nuovo (appoggiandosi all’organizzazione per espatriare in Spagna), che pure giudicava collusa con gli apparati di Stato. “È un’osservazione che non coglie nel segno”, si legge: “Vinciguerra approfittò dell’organizzazione di cui era stato responsabile per ottenere un vantaggio che dal suo punto di vista gli spettava e che non era in contrasto con i suoi principi, perché in cambio non si mise a disposizione di coloro che lo avevano favorito, anzi con l’espatrio, nelle sue intenzioni, li abbandonava; il mantenimento della libertà giustificava di approfittare dell’opportunità”.
Si può aggiungere che la sua battaglia ha un sapore politico ed esistenziale: i neofascisti rappresentano il mondo da cui egli proviene, e nel quale si è fatalmente e per sempre forgiato come “soldato politico”. Ma da quel mondo Vinciguerra si è sentito profondamente tradito: un processo di consapevolezza maturato del tempo, nato dalla straniante considerazione che negli ambienti dello Stato, militari e di sicurezza, l’attentato di Peteano venne recepito per la prima volta come un attacco diretto e, nell’ambiente dell’estrema destra, come una provocazione.
Due aspetti vogliamo qui ricordare della vasta elaborazione di Vinciguerra ripresi con dettaglio dalle motivazioni della sentenza contro Bellini (che resta dunque un punto di riferimento bibliografico per comprendere il percorso dell’ex ordinovista e conoscere il suo contributo). Il primo riguarda il contributo allo smantellamento della falsa categoria dello spontaneismo armato usata per isolare le responsabilità dei Nuclei armati rivoluzionari di Fioravanti, Mambro e Ciavardini da quelle di altri ambienti. “Le ricordo che erano militanti del Movimento sociale italiano, cioè troppe volte si dimentica che Valerio Fioravanti, la Mambro e altri, erano militanti del Movimento sociale italiano, non erano extraparlamentari”, dice Vinciguerra, sottolineando come Fioravanti non abbia mai rotto con Signorelli e Fachini e tanto meno con Dimitri e gli avanguardisti romani. Dimitri teneva i contatti con la generazione dei militanti più giovani che, a loro volta, erano inseriti nelle organizzazioni ufficiali della destra:
PRESIDENTE – Senta, lei di Fioravanti e del suo gruppo, quand’è che ha avuto notizia per la prima volta, dei Nar?
TESTIMONE VINCIGUERRA – No, guardi, i Nar non sono mai esistiti, presidente, i Nar sono come il Fronte nazionale rivoluzionario di Mario Tuti, cioè una sigla, e le dirò di più, è una sigla che riporta ai fratelli Fabio e Alfredo De Felice, e forse a (… incomprensibile), le spiego il perché. I Nar erano una delle cellule di base dei Fasci di azione rivoluzionaria, i Nar erano un Nucleo di azione rivoluzionaria. Quindi chi ha resuscitato questa sigla – va bene? – conosceva bene (…) e questo non potevano essere Fioravanti e gli altri, potevano essere i fratelli De Felice che ci avevano fatto parte (…), quindi i Nar non sono mai esistiti come…”
E alla domanda su eventuali rapporti tra il gruppo Fioravanti e i servizi segreti offre una conferma perentoria alla tesi che la Corte ritiene di avere tratto dal processo e dalle prove esistenti:
PRESIDENTE – Quindi non sa se anche questi qui avessero i collegamenti di cui ha parlato con esponenti dei Servizi, delle… Non ha mai avuto…?
TESTIMONE VINCIGUERRA – Cioè i collegamenti diretti fra chi? Fra Fioravanti e quelli dei servizi?
PRESIDENTE – Sì.
TESTIMONE VINCIGUERRA – A me bastava che li avesse con Paolo Signorelli.
PRESIDENTE – E li aveva con Paolo Signorelli?
TESTIMONE VINCIGUERRA – E li aveva con Paolo Signorelli.
Testimonianza evidentemente non gradita dalla figlia di Paolo Signorelli, Silvia, che aveva già chiesto di giudicare Vinciguerra per diffamazione: udienza a Bologna il prossimo 10 luglio, il pm dell’accusa è Antonello Gustapane, il difensore Fabio Repici. Lì dovrà tentare di smontare l’imponente ricostruzione delle amicizie del padre Paolo.
L’altro aspetto estremamente importante della deposizione di Vinciguerra nell’ambito della strage di Bologna riguarda il piduismo e i neofascisti. Quando l’ordinovista amico di Delfo Zorzi, Cesare Turco, viene arruolato nei servizi, il “direttore d’orchestra” è Umberto Federico D’Amato, figura centrale nel processo. Turco, a sua totale insaputa, dice Vinciguerra, “ma tramite Zorzi, Fachini, Signorelli, si era arruolato, io dico con i servizi segreti, perché non ho mai saputo il corpo di polizia attraverso il quale lui è passato, se era Pubblica sicurezza, se era l’Arma dei carabinieri. Ma certo praticamente nel servizio di sicurezza”. Vinciguerra vede per caso Turco a Roma, mentre svolge il suo compito di scorta al ministro Bonifacio: siamo nel 1976, cioè nella seconda fase della strategia della tensione, quella post-1974, dopo la svolta che determinò l’abbandono delle protezioni, lo scioglimento di Ordine nuovo e degli Affari riservati. Ma i servizi identificano e continuano ad avvalersi degli uomini dell’estrema destra per operazioni riservate. Sono i servizi di sicurezza che in quel momento cominciano a essere al completo servizio di Gelli e della P2, nella quale è inserito più di un uomo della destra eversiva.
C’è poi tutto il lungo racconto dei rapporti tra Delle Chiaie e Mario Tedeschi (non imputabile perché deceduto) che non fu solo il direttore della rivista “Il Borghese”, ma principalmente il protagonista della scissione di Democrazia nazionale dal Movimento sociale italiano, “scissione patrocinata dalla P2, perché è un’operazione piduista. Ed è stato anche il beneficiario della riapertura dell’inchiesta sull’attentato di Peteano. Un’operazione piduista…”. Tedeschi, com’è noto, era “un uomo della Divisione affari riservati di D’Amato”, quest’ultimo definito, nell’ambiente di Vinciguerra, “il direttore dell’Ufficio bombe. Sì, era una battuta, ma tante cose vere si dicevano sotto forma di battuta”.
Ma è nell’operazione dei “manifesti cinesi” (affissi nel 1966 dagli avanguardisti, inneggianti a Mao e a Stalin al fine di screditare la sinistra, ndr) che si saldano i rapporti tra Delle Chiaie e D’Amato: “non ho prova diretta (dei loro rapporti, ndr), ma di sicuro esistevano, visto l’episodio dei ‘manifesti cinesi’ e l’espatrio di Saccucci (Sandro Saccucci, deputato missino coinvolto nel golpe Borghese, responsabile dell’omicidio del giovane Luigi Di Rosa a Sezze Romano, ndr)”. Quella delle multiformi amicizie di Delle Chiaie fu una lenta scoperta per Vinciguerra che, nel 1986, dal carcere, ancora credeva in lui, fino a rendersi conto che disponeva di “una mole di informazioni impressionante, che non potevano provenire solo da Avanguardia, dovevano provenire anche da fonte del ministero degli Interni. Ovvero dagli infiltrati che collocava ovunque potesse, d’intesa con il ministero”: Paolo Bellini, il quinto uomo della strage di Bologna era un militante di Avanguardia nazionale fino alla partenza per il Brasile. Dopo il rientro in Umbria, con le false generalità di Roberto Da Silva, fu ricevuto e assistito per conto dell’on. Mariani nello studio dell’avvocato di Delle Chiaie, Menicacci – dei cui movimenti abbiamo appreso già all’epoca dell’indagine palermitana denominata “Sistemi criminali” e che non ci stupiremmo se avesse un seguito dopo le recenti rivelazioni sulla presenza di Delle Chiaie a Palermo in prossimità della strage di Capaci (23 maggio 1992).
La Corte ha volutamente tralasciato, per la non diretta attinenza con il processo per la strage, diversi altri temi: “Ci riferiamo ai rapporti di Delle Chiaie con Guerin Serac in Spagna e al ruolo dell’Aginter press, all’Oas e Susini e alle attività di quest’ultimo nell’ambito dei servizi di sicurezza e della Gladio francese, dopo essere stato amnistiato nel 1968. Agli attentati compiuti dagli italiani per conto dell’Aginter press contro ambasciate algerine. Alla premeditata mancata riuscita dell’attentato a Bonn di cui fu protagonista Piero Carmassi e alle conseguenti rimostranze di Serac. All’attività degli avanguardisti in Spagna contro l’Eta; all’interpretazione ancora in termini di provocazione politica da parte della destra francese e dell’Aginter press dei moti francesi del ’68, il cui solo risultato fu di imporre a De Gaulle di chiedere l’appoggio dell’esercito che gli fu concesso a condizione che tutti gli esiliati dell’Oas avessero l’amnistia, con conseguenti dimissioni di De Gaulle. Alla conferma dell’azione dell’Oas in Italia negli anni ’60, a supporto della formazione militare dei militanti di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale. Al riconoscimento di Calzona Cauchi e Delle Chiaie in una foto de 1976, dopo i fatti di Monteiura in Spagna. Calzona era un ragazzo calabrese che aveva ucciso un uomo e che era stato affidato a Delle Chiaie dai ‘calabresi’, intesi come militanti della destra (Felice, Genoesi, Zerbi) per conto della ’ndrangheta, con la quale Avanguardia nazionale aveva avuto sempre stretti rapporti. A proposito dei rapporti tra ’ndrangheta e An, il teste ha ricordato i moti di Reggio del 1970, l’intesa al tempo del golpe Borghese e il collegamento tra i moti di Reggio e il golpe”.
Singolare che un personaggio siffatto sia stato chiamato, nell’aprile dello scorso anno, a rispondere di falsa testimonianza dopo la sua deposizione nel processo in Corte di assise a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini, poi condannato all’ergastolo come “quarto uomo” della strage di Bologna. Vinciguerra non ha voluto riferire i nomi di chi gli parlò di un collegamento tra il gruppo di Fioravanti e Cavallini, il gruppo veneto di Massimiliano Fachini e quello di Paolo Signorelli e Sergio Calore. In effetti, non si è mai pentito, sebbene resti una fonte attendibile di verità.