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Home » Editoriale » L’assurda polemica sulle “case green”

L’assurda polemica sulle “case green”

16 Gennaio 2023 Agostino Petrillo  865

Com’è noto in Italia chi tocca la casa muore… Ed ecco pronti a insorgere contro l’Europa tiranna Fratelli d’Italia e la Lega che, coraggiosamente serrati a coorte, si oppongono a chi “vuole togliere la casa agli italiani” e alla “patrimoniale nascosta”, che perfidamente si celerebbe dietro la direttiva europea riguardante l’efficientamento energetico del nostro patrimonio abitativo. La “sinistra”, nel frattempo, atterrita dal doversi pronunciare su qualcosa, tace e si chiude in un prudente agnosticismo.

Le misure previste dalla direttiva – detto per inciso – fanno parte di un più ampio pacchetto, in gestazione da tempo, che riguarda la de-carbonizzazione dell’Europa, denominato “Fit for 55”, che promuove la riduzione del 55% delle emissioni di Co2 entro il 2030, e prendono lo spunto dalla constatazione che una buona parte delle emissioni inquinanti sia dovuta a edifici con standard energetici inadeguati. La questione delle “case green”, com’è stata sbrigativamente etichettata, prevede l’obbligo del passaggio alla classe energetica E per tutti gli immobili residenziali dei Paesi membri dell’Unione entro il 2030, e un successivo adeguamento da completarsi entro il 2033, con il passaggio alla classe D. La discussione sui contenuti specifici della delibera va avanti, nel parlamento europeo, da oltre un anno; ma la riflessione sul tema si protrae da oltre un decennio. La destra insiste sul fatto che il patrimonio italiano è particolarmente vecchio, e che un efficientamento energetico richiederebbe uno sforzo economico non indifferente. Secondo alcune stime, la spesa media potrebbe aggirarsi sui dodicimila euro per un appartamento di novanta metri quadri. Vero è che l’Europa dovrebbe sostenere una parte dei costi, per circa un 40% dell’importo totale; ma si tratta in ogni caso di un investimento rilevante. Anche Confedilizia tuona: secondo Giorgio Spaziani Testa, che ne è il presidente, l’impatto della spesa potrebbe essere “devastante per tutti gli italiani”.

Il parco immobili in Italia si stima sia per il 60% composto da edilizia datata, e quasi il 75% è stato costruito prima che entrassero in vigore i criteri di risparmio energetico e di sicurezza sismica, per cui sarebbero circa nove milioni di alloggi (su 12,3 complessivi) a essere interessati dalla necessità di una ristrutturazione. Sono però previste alcune esenzioni, a iniziare dagli immobili qualificati “ufficialmente” come storici. Ciò significa che gli edifici tutelati dalle norme dei beni culturali non dovranno essere sottoposti a interventi. È anche vero che nel nostro Paese sono presenti molti edifici antichi all’interno dei centri storici, non tutti vincolati dalle Belle arti. Altre esenzioni sono previste per gli edifici di culto, le abitazioni indipendenti inferiori a cinquanta metri quadrati e le seconde case.

Sei mesi è la tempistica che si è data la presidenza di turno svedese dell’Unione europea per approvare la direttiva. L’Unione vorrebbe arrivare al 2040-50 a zero emissioni da case e appartamenti. Questi ultimi sono responsabili di un 36% delle emissioni di gas a effetto serra: il che significa che ridurne l’impatto è un passaggio imprescindibile, se si vuole veramente arrivare alla neutralità climatica entro il 2050.

Si tratta, dunque, di misure di semplice illuminismo ambientalista, e di miglioramento della qualità del patrimonio abitativo, di cui è difficile non condividere lo spirito e gli obiettivi generali. Il vicepresidente esecutivo del Green Deal per l’Europa, Frans Timmermans, ha dichiarato a proposito della delibera che “stimolare la ristrutturazione di abitazioni e altri edifici sostiene la ripresa economica e crea nuove opportunità di lavoro. La ristrutturazione energetica porta anche a una riduzione delle bollette dell’energia, e l’investimento effettuato viene alla fine ripagato dalla minore spesa in consumi”.

Il problema che l’introduzione della delibera comporta per l’Italia però è complesso: non è rappresentato unicamente dalla vetustà del patrimonio abitativo, ma dalla frammentazione della proprietà, che rende tutta la procedura dell’adeguamento molto più intricata. Quando negli anni Novanta gli italiani sono stati trasformati in un popolo di proprietari di casa, con il retropensiero, per nulla mascherato, di creare una base elettorale stabile di ispirazione conservatrice, fino a raggiungere percentuali di proprietà tra le più alte d’Europa, intorno al 75%, non si sono presi in considerazione anche gli aspetti negativi di questa scelta. Non si è valutata la fissità residenziale che alte percentuali di proprietà implicavano, né le ricadute sul conseguente ridimensionamento del mercato dell’affitto, in particolare sui giovani; e si sono ignorati i segnali che giungevano da altre realtà europee, in cui, invece, l’affitto continua a giocare un ruolo importantissimo. La proprietà della casa in Germania è ferma al 45%, e situazioni simili esistono nei paesi dell’Europa del Nord, caratterizzati principalmente da metropoli di affitto, con percentuali che raggiungono, come a Berlino, l’80%, e in cui la proprietà delle case è prevalentemente di cooperative e di grandi immobiliari. In questi Paesi, è evidentemente più facile e meno oneroso procedere all’efficientamento, di quanto non lo sia nella condizione “pulviscolare” della proprietà tipica del nostro Paese.

D’altro canto, in Italia, come si è visto bene anche nella vicenda della riforma del catasto (vedi qui), il motto per quanto riguarda la casa pare sempre essere quieta non movere, ed è facile scagliarsi contro l’Europa ergendosi a protettori dei piccoli proprietari, quando in realtà la casa agli italiani la stanno togliendo altri. Ci stanno già pensando banche, grandi immobiliari, con gli sfratti, con i pignoramenti, con i mutui che non si riescono più a pagare. I dati parlano chiaro: la casa in proprietà si sta riducendo, ed è calata di diversi punti in percentuale negli ultimi anni. Perde così terreno, e base materiale, l’ideologia proprietaria così tenacemente difesa dalla destra: un’ideologia che, tra l’altro, si sta rivelando ormai inadeguata a fare fronte a una domanda di casa largamente inevasa. Situazioni come quella di Milano parlano da sole – e l’immobilismo sul fronte casa appare sempre meno una soluzione praticabile.

Che la tempistica prevista dalla delibera europea sia criticabile e vada rivista, in chiave di una maggiore gradualità dell’intervento, è certamente un dato di fatto in un contesto come quello descritto; ma gli alti lai sulla “plutocrazia europea”, come l’ha definita uno come Diego Fusaro, che si accingerebbe a “togliere la casa agli italiani” sono sicuramente fuori luogo, e suonano addirittura grotteschi quando sono ripetuti da alte cariche dello Stato.

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TagsAgostino Petrillo casa case green destra direttiva europea efficientamento energetico emissioni fit for 55 Fratelli d'Italia Lega Unione europea

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