Il Consiglio europeo informale di Praga del 7 ottobre ha mostrato fino a che punto la Commissione europea è sotto pressione da parte della maggioranza degli Stati membri, che vorrebbero vederla assumersi le proprie responsabilità e proporre finalmente un tetto al prezzo all’ingrosso del gas naturale. Su questo punto, la Commissione ha adottato una posizione attendista e messo in campo tattiche temporeggiatrici, in assenza di un via libera da Berlino, che evidentemente il gabinetto di Ursula von der Leyen considera più importante dell’interesse generale dell’Unione. Il price cap è una misura che l’Italia aveva proposto già a marzo, e che a fine ottobre ha chiesto in modo più formale insieme ad altri quattordici Paesi, con una lettera inviata alla Commissione dai rispettivi ministri dell’Energia.
Tra i quindici Paesi firmatari, ci sono il secondo, terzo, quarto e quinto più grandi dell’Unione come popolazione (Francia, Italia, Spagna e Polonia). Una circostanza importante, per quanto riguarda il peso che questo gruppo di Stati membri ha nel sistema di voto a maggioranza qualificata in Consiglio Ue, in cui le decisioni sono approvate con minimo il 55% dei Paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione.
Il requisito del 55% dei Paesi è già presente (quindici su ventisette), mentre quello della popolazione non è raggiunto per un soffio: siamo al 64,35%. Ma bisogna considerare che c’è almeno un altro Stato membro sicuramente favorevole al price cap: è la Repubblica ceca, che esercita in questo semestre la presidenza di turno del Consiglio Ue, e che per questo ha ritenuto opportuno non firmare la lettera, per mantenere un ruolo super partes da facilitatore delle discussioni fra i Ventisette. In pratica, considerando che i cechi rappresentano il 2,36% della popolazione dell’Unione europea, in caso di voto sul price cap in Consiglio Ue la maggioranza qualificata sarebbe raggiunta. Senza considerare che comunque, fra i Paesi che non hanno firmato la lettera, qualche altro Stato membro potrebbe aggiungersi ai Quindici.
Ma nell’Unione le proposte devono venire dalla Commissione, non possono essere presentate autonomamente dagli Stati membri, neanche quando sono in maggioranza. La Commissione, a questo punto, difficilmente potrà ignorare l’input dei Paesi favorevoli a limitare d’autorità il prezzo delle importazioni di gas nell’Unione.
Proprio alla vigilia del vertice di Praga, il pressing di questi Paesi ha aperto un nuovo fronte, con l’invio, a tutti i governi e alla Commissione, di un “non paper” (ovvero un documento non formale e in principio non attribuibile), che presentava una serie di argomentazioni dettagliate, anche tecnicamente, a favore di una versione più sofisticata e più flessibile del price cap: invece di un tetto fisso, il documento suggeriva un “corridoio di prezzo dinamico”, cioè una banda di fluttuazione dei prezzi, con un massimo e un minimo intorno a un valore centrale fissato in base a una serie di indicatori oggettivi, per gli acquisti di gas sul mercato all’ingrosso.
Dietro la proposta – si è saputo subito – c’erano quattro Paesi: l’Italia, naturalmente, e poi la Polonia, la Grecia e il Belgio. Poche ore dopo essere stato inviato, il “non paper” ha avuto massima diffusione sulla stampa, il 6 ottobre, mentre a Praga si incontravano i leader della neonata Comunità politica europea. Il documento italo-belga-greco-polacco risponde direttamente a un altro documento, quello pubblicato dalla Commissione il 28 settembre, in cui sostanzialmente si demoliva l’ipotesi del price cap, liquidandola in poco più di una paginetta con argomentazioni che sottolineavano quanto sarebbe complicato e difficile realizzarla. L’esecutivo comunitario appariva fortemente contrario ad adottare una misura che si configurerebbe come un intervento dello Stato (o in questo caso dell’Unione) sul libero mercato, e sottolineava come sia proprio la libera formazione dei prezzi a garantire il flusso del gas laddove ce n’è bisogno. In realtà, altre soluzioni già proposte dalla Commissione e poi attuate, come per esempio lo stoccaggio comune del gas, non erano meno complicate, e includevano obblighi imposti dai poteri pubblici e interventi dello Stato sui mercati. Ma erano state accettate senza grossi problemi, visto che Berlino non le osteggiava.
La Germania è risolutamente contraria al price cap. Per i tedeschi, la priorità è garantire la sicurezza dell’approvvigionamento a qualunque costo, per essere certi che continui a produrre la grande industria manifatturiera (ed energivora) in Germania. Meno importante, invece, è mantenere a un livello ragionevole per i consumatori (famiglie e imprese) i prezzi dell’energia, che possono comunque essere compensate con un ricorso a finanziamenti statali. Finanziamenti che Berlino, al contrario dei Paesi con meno margine di bilancio, si può certamente permettere, come dimostra l’annunciato pacchetto da duecento miliardi di euro contro i rincari. La Germania teme che mettere un limite al prezzo del gas importato comporti il rischio che i fornitori di Gnl (il gas naturale liquefatto, trasportato per via marittima sul mercato mondiale) non accettino quella condizione e si rivolgano altrove, mettendo dunque a rischio l’approvvigionamento.
La Commissione, sempre molto attenta agli input da Berlino, si è ben guardata finora dal proporre un vero e proprio tetto al prezzo del gas importato. E ha invece prospettato una serie di altri “tetti”, che hanno creato anche certa confusione: un price cap per l’energia che ancora viene importata dalla Russia, un tetto al prezzo del gas utilizzato per produrre energia elettrica (non imposto quindi, all’importazione del gas, dove resterebbe possibile il gioco al rialzo di speculatori e manipolatori del mercato come Gazprom e il Cremlino). Questa seconda misura sarebbe, praticamente, una estensione a tutto il mercato Ue della cosiddetta “eccezione iberica”. Inoltre, l’esecutivo comunitario ha già proposto altri limiti: il tetto (180 euro per MWh) ai ricavi delle fonti non fossili (“infra marginali”) di elettricità, e il prelievo “di solidarietà” di un terzo degli extra-profitti delle fonti fossili, aggiuntivo rispetto alla normale imposizione. Gli Stati potranno usare i ricavi di queste due misure per alleviare le bollette di famiglie e imprese.
Il documento dei quattro paesi favorevoli al “corridoio di prezzo dinamico” critica in modo circostanziato sia il tetto al prezzo del solo gas importato dalla Russia, sia il price cap solo per il gas utilizzato nella produzione dell’elettricità. Rileva che un tetto al prezzo del solo gas russo: 1) non avrebbe un impatto positivo sui prezzi al consumo; 2) avrebbe un potenziale impatto negativo sulla sicurezza dell’approvvigionamento; 3) sarebbe discriminatorio (per es. rispetto ad altre importazioni tramite gasdotti o produzioni nazionali, che sarebbero consentite a prezzi più elevati); 4) dovrebbe essere adottato con la stessa base giuridica prevista per le sanzioni, che richiede il voto all’unanimità.
Ma, soprattutto, il documento dei quattro Paesi demolisce la proposta di limitare il tetto al prezzo del gas usato per il mercato elettrico, con i seguenti argomenti: “1) ignora i 2/3 del mercato del gas, che riguardano l’industria e l’edilizia; 2) crea una passività senza un chiaro limite verso l’esterno (perché, per esempio, il prezzo all’importazione può continuare a salire, richiedendo più risorse per mantenere il tetto massimo); 3) crea disincentivi per prezzi più bassi (gli importatori saranno compensati per qualsiasi prezzo pagano); 4) se il tetto al prezzo del gas è troppo basso, attiverà una domanda aggiuntiva eccessiva, possibilmente includendo il passaggio da carbone a gas; se troppo alto, probabilmente dovrà essere integrato da un sostegno aggiuntivo a livello di vendita al dettaglio per mantenere i prezzi accessibili”.
I principali obiettivi della proposta – spiega il documento di Italia, Belgio, Grecia e Polonia – sono “attenuare le pressioni inflazionistiche”, “dissuadere e ridurre la speculazione”, “gestire le aspettative e fornire un quadro in caso di potenziali interruzioni delle forniture”, “limitare i profitti eccessivi nel settore”. Le caratteristiche chiave del progetto sono che “il corridoio opererebbe a livello di vendita all’ingrosso, non al dettaglio”, e che “si applicherebbe a tutte le transazioni all’ingrosso, non limitate all’importazione da specifiche giurisdizioni e non limitate all’uso specifico di gas naturale”. Il documento propone che il “corridoio dinamico” sia impostato sulla base di “un valore centrale, attorno al quale sarebbero consentite delle fluttuazioni (per esempio del 5%)”. Il valore centrale verrebbe “riesaminato regolarmente tenendo conto di parametri di riferimento esterni (per esempio i prezzi del petrolio greggio, e quelli del carbone e/o del gas in Nord America e Asia)”. Questo è l’elemento centrale della proposta: se il valore centrale del corridoio è agganciato anche a parametri non europei (e quindi non influenzati dalle manipolazioni di mercato russe), tra cui in particolare i prezzi sui mercati asiatici, non ci sarà il rischio che i tetti al prezzo comportino il dirottamento verso l’Asia delle forniture di Gnl inizialmente destinate all’Europa, come paventano i Paesi contrari (in particolare l’Olanda).
Il corridoio dovrebbe riguardare i contratti a lungo termine esistenti, in cui i prezzi tendono a essere definiti in relazione a parametri di riferimento chiave, ed essere applicato alle piazze finanziarie come il mercato Ttf di Amsterdam, o agli hub di scambio francese, italiano e belga. Oppure coprire tutte le transazioni, sia in borsa sia al di fuori dei mercati regolamentati. Il prezzo minimo del corridoio “dovrebbe essere abbastanza alto da consentire al mercato di funzionare. Dovrebbe disarticolare e disincentivare la speculazione. Non ha lo scopo di imporre prezzi a un livello artificialmente basso”, puntualizza il documento. Allo stesso tempo, il prezzo massimo del corridoio “dovrebbe essere sufficientemente alto e flessibile da permettere all’Europa di attrarre le risorse necessarie, consentendo, se necessario, transazioni al di sopra del corridoio”. Inoltre, il prezzo massimo “dovrebbe essere sufficientemente alto da preservare l’incentivo al risparmio energetico e/o all’abbandono del gas” per la transizione energetica. Il corridoio dovrebbe poi essere “integrato da misure volontarie rafforzate di riduzione della domanda”.
Il documento sottolinea inoltre che per decidere se e come applicare la proposta vanno considerati tre diversi scenari. Il primo è quello in cui il mercato si trova oggi: non c’è “nessuna carenza fisica” delle forniture, ma piuttosto una manipolazione della loro disponibilità a fini speculativi. In questo caso si può applicare il corridoio, e “offerta e domanda possono combaciare”. Il secondo scenario è quello della “potenziale carenza fisica” delle forniture, in cui “il prezzo si avvicina o supera il limite massimo del corridoio”. In queste circostanze, il corridoio diventerebbe “dinamico” perché sarebbero necessarie “transazioni al di sopra del tetto, per equilibrare il mercato”. In questo caso, si farebbe corrispondere l’offerta alla domanda attraverso l’adozione di misure di emergenza.