La colonna sonora che potrebbe degnamente accompagnare gli ultimi travagliatissimi mesi del governo di Olaf Scholz, è forse quella di un celebre e strascicato blues. Eppure il cancelliere Scholz non è uomo da poco: è noto per rispettare gli impegni, come ricorda tutto il suo percorso di amministratore e di politico, che gli è valso il soprannome di “Scholzomat”, curiosa fusione tra il suo nome e bancomat, a ribadirne l’affidabilità.
Da mesi, però, sulla guerra ucraina Scholz nicchia: cerca disperatamente di prendere tempo, di evitare un coinvolgimento troppo massiccio della Germania nella fornitura di armi pesanti, anche quando è messo sotto pressione dalla Unione europea e dall’alleato americano. Sulle stesse sanzioni è stato oltremodo guardingo, ha difeso fino a che ha potuto il gasdotto Nord Stream II, che collega direttamente Russia e Germania, e si è opposto all’embargo completo del gas russo. Difficile ridurre questo balletto a una componente caratteriale, come fa spesso la stampa conservatrice tedesca, che non ha risparmiato gli insulti e le accuse di irresolutezza – e come ha fatto anche l’economista americano Paul Krugman in un editoriale velenoso pubblicato sul “New York Times”, nello scorso aprile, in cui dava a Scholz dell’allarmista e insinuava che ci fosse una mancanza di coraggio dietro la riluttanza del cancelliere ad accettare i sacrifici che i tedeschi dovrebbero affrontare come conseguenza dell’applicazione delle sanzioni. L’ambasciatore ucraino in Germania, Andrii Melnyk, già noto per alcune sue uscite piuttosto brusche, ha dichiarato senza mezzi termini che Scholz è un “uomo senza spessore”, inadeguato al suo compito di guida di un grande Paese, che sta “facendo melina” sulle armi con procedure di rallentamento burocratico, e che si muoverebbe quindi come una sorta di “quinta colonna” dei russi.
In realtà Scholz non pare tanto un don Abbondio, un manzoniano “vaso di coccio costretto a viaggiare tra vasi di ferro”, quanto piuttosto un politico prudente, accorto e consapevole, che si trova in una situazione difficilissima per l’improvviso venir meno del quadro geopolitico in cui era stata tessuta la politica estera tedesca dell’ultimo mezzo secolo. Certo, la posizione del cancelliere non è chiarissima, nonostante le sue ultime uscite pubbliche siano state in generale allineate con le posizioni dell’Unione europea. Con buona pace della proclamata svolta storica nella politica estera tedesca, la Zeitwende, si ha a volte la sensazione di una sorta di doppio registro: le scelte dei partner europei vengono avallate e condivise, ma poi, in pratica, le azioni che ne dovrebbero scaturire vengono messe in atto lentamente e con enorme circospezione.
La questione delle armi da fornire alla Ucraina è indicativa. Secondo il quotidiano “Die Welt” del 30 maggio scorso, nonostante tutte le promesse di sostegno militare, le forniture di armi da parte tedesca sono state, nelle ultime nove settimane, estremamente contenute: dopo un primo invio a fine marzo di duemila proiettili per lanciarazzi anticarro e millecinquecento missili antiaereo Strela, sono poi arrivati solo pezzi di ricambio per mitragliatrici e mine anticarro. Il presidente Zelensky si è lagnato, tra l’altro, della bassa qualità del materiale bellico inviato, in cui non mancavano pezzi difettosi; ed è stata fatta dallo stato maggiore ucraino dell’ironia sui missili Strela, scarsamente utilizzabili, basati come sono su una tecnologia anni Sessanta e largamente obsoleti. Non si sono ancora visti i famosi carri armati Gepard. La Germania ne aveva promessi trenta, ma i primi quindici arriveranno nella migliore delle ipotesi a fine luglio, dato che devono essere “ricondizionati” per essere operativi e non si trovano le munizioni.
Scholz si è difeso dicendo che il governo tedesco “sta facendo il possibile”, ma si è rifiutato di dare dettagli concreti riguardo agli invii per ragioni di sicurezza, e ha ricordato a chi lo attaccava un accordo tacito, vigente nella Nato, che prescrive di non inviare armi pesanti di offesa per evitare il coinvolgimento diretto nella guerra. Nonostante, quindi, le uscite pubbliche recenti, in cui Scholz ha ribadito che è indispensabile appoggiare l’Ucraina – “perché non trionfi l’ingiustizia e non vinca la legge del più forte” –, la posizione del cancelliere sembra lontana dal coro di chi (Draghi incluso) proclama che la Russia deve perdere la guerra e che sarà l’Ucraina a dettare le condizioni della pace.
Il problema centrale di Scholz è che la Russia è troppo vicina. Putin, in una recente telefonata con il cancelliere e Macron, ha messo in guardia dall’inviare armi di offesa a lunga gittata, minacciando una escalation del conflitto. Ma ci sono anche importantissime questioni economiche dietro la tiepida adesione tedesca al fronte antirusso: la più evidente è la persistente dipendenza dall’energia importata dalla Russia: all’inizio della guerra il 55% del gas consumato nel Paese era di provenienza russa, ora la percentuale si è ridotta al 35%, mentre le importazioni di petrolio sono scese dal 35% al 12%. Ma più di così è difficile fare: secondo il colosso della chimica tedesca Basf, ulteriori riduzioni non sono accettabili, a meno di non voler chiudere l’impianto di Ludwigshafen che dà lavoro a trentamila persone. Analoghe inquietudini giungono dalla raffineria di Schwedt, nel Brandeburgo, direttamente legata all’oleodotto russo Droujb, che fornisce il 90% del combustibile impiegato a Berlino e nella sua regione. La società russa Rosneft, nel cui consiglio di amministrazione siede l’ex cancelliere Gerhard Schröder, è l’azionista di maggioranza della raffineria. Un simile groviglio di interessi rende oggettivamente complesso muoversi nella crisi attuale. Certo è che Scholz non è ancora andato a Kiev, probabilmente anche come risposta allo smacco subito quando il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier (della Spd) è stato dichiarato persona non gradita, impedendone la visita nella capitale ucraina per le sue passate posizioni ritenute troppo filorusse.
Non mancano anche resistenze politiche interne: una parte della Spd, sia pure minoritaria, passa per essere Putinversteher, comprensiva nei confronti di Putin; mentre la pancia pacifista dei verdi si agita ogniqualvolta si parla di invio di armi, e non ha ancora digerito il Sondervermögen, lo stanziamento straordinario di cento miliardi di euro destinato al riarmo tedesco.
Costantemente sulla difensiva, sia sul fronte interno sia su quello internazionale, Scholz sembra districarsi con difficoltà in un ginepraio in cui deve continuamente giustificare quello che fa e, soprattutto, quello che non fa. Da questa situazione nascono le sue esitazioni e il doppio registro a cui si accennava. In fondo, le ambiguità nelle sue dichiarazioni ufficiali, e la forse studiata lentezza nella fornitura delle armi promesse, nascondono probabilmente un retropensiero: se la Russia non deve vincere la guerra… non deve però neanche perderla, dato che potrebbe andarne del futuro stesso della Germania.