Le notizie sulla loggia massonica “Ungheria” fanno venire il mal di testa, tanto sono ingarbugliate. Probabile mix di vero e di falso, come capita sempre negli scandali. Ieri (martedì 4) tutti i gruppi parlamentari hanno chiesto una informativa alla ministra guardasigilli Marta Cartabia, non solo perché è questione assai delicata e grave ma anche perché si capisce poco. Ma poi non così poco. La loggia sarebbe composta da magistrati, forze dell’ordine e alti dirigenti dello Stato, secondo quanto ha riferito alla procura milanese l’avvocato Piero Amara, già legale esterno dell’Eni, personaggio controverso ma fino a oggi ritenuto attendibile, finito in carcere nel febbraio 2020 per scontare un cumulo pene di tre anni e otto mesi per l’inchiesta sul cosiddetto “sistema Siracusa”. Per anni ha avuto incarichi milionari dalla compagnia petrolifera.
Proviamo a riannodare i fili per quel che si può, partendo da quel che si sa: la procura di Perugia, diretta da Raffaele Cantone, sta indagando sul sodalizio segreto – il capoluogo umbro è la sede competente per le indagini che coinvolgono magistrati della capitale, come pare in questo caso; il procuratore di Milano Francesco Greco sta preparando una relazione per riscostruire i passaggi e la tempistica relativi alla gestione del fascicolo sulla loggia, poi trasmesso a Perugia; le informazioni sono in possesso della procura di Milano dal dicembre 2019, quando Amara ne parla con i pm Francesco Storari e Laura Pedio.
E qui il primo macigno: perché solo oggi si muovono le indagini? Da quel momento la procura milanese, infatti, aveva a disposizione ventiquattro mesi per acquisire i tabulati telefonici dei presunti affiliati e cominciare a destreggiarsi tra le loro conversazioni per capire la portata dell’affaire. Ma già tredici mesi sono andati persi. La procura, infatti, scelse di svolgere solo una raccolta sommaria di informazioni senza dare impulso ad atti di indagini per verificare o smentire l’esistenza di quella benedetta loggia. Per questo il pm Storari – dice lui – andò dal consigliere del Consiglio superiore della magistratura, Piercamillo Davigo, notissima toga di Mani pulite dalla parola pungente: per “autotutela”, sostiene Storari, oggi indagato per quel traffico di verbali, di fronte all’inerzia del procuratore Francesco Greco che rifiutò di iscrivere subito alcuni nomi nel registro degli indagati e di consegnare i verbali di Amara, tra i grandi accusatori di Eni per aver “aggiustato” con una mazzetta da un miliardo di euro la procedura per l’assegnazione di una concessione petrolifera in Nigeria – vicenda definita come la più grossa tangente internazionale mai finita davanti a un tribunale ma conclusa in primo grado con un verdetto di assoluzione piena (il fatto non sussiste). L’indagine che il pm voleva portare avanti sarebbe stata bloccata. Nel caso Eni-Nigeria, tra l’altro, i pm milanesi trasmisero a Brescia parte dei verbali di Amara nei quali si gettava un’ombra sui giudici (fascicolo archiviato).
Ma tornando al Csm: Davigo a quel punto che fa? Tiene le carte sulla loggia, ne parla un po’ in giro ma senza nessuna formalità. Le carte stesse sono fogli word senza firma, non i verbali di interrogatorio: e non poteva che essere così, visto che gli originali sono di regola custoditi nella cassaforte del procuratore capo, cioè Greco, cioè colui che secondo Storari preferiva l’immobilismo. Il percorso formalmente corretto prevedeva che il pm si rivolgesse alla procura generale della città che è l’istituzione che può intervenire su quella ordinaria: non averlo fatto fa intuire che Storari non si fidasse proprio di nessuno. Comunque, dopo aver mandato almeno una decina di mail in pochi mesi ai vertici della Procura senza, a suo dire, avere risposta, il pm avrebbe dovuto scrivere al comitato di presidenza del Csm: non contattare l’amico fidato Davigo.
In questa fitta matassa non possiamo ancora sapere, dunque, se sia reale l’esistenza di una loggia massonica nella quale si tesserebbero gli accordi più importanti sulla vita e sulla morte di cose pubbliche. Amara aveva promesso l’elenco che non è arrivato, ma nel suo computer sarebbero state trovate prove del sodalizio massonico. Sappiamo, intanto, che la testimonianza di Amara ha preso una strada non dritta e poi che la tendenza a un certo settarismo corporativo è tipica di questo nostro Paese: citando un vecchio incipit di uno storico articolo di Tommaso Besozzi, l’unica cosa certa è che in Italia le massonerie prosperano. Allora, a questo punto, ci piacerebbe non apprendere dalle indagini, di certo tardive, i nomi, tanti o pochi, di chi ne farebbe parte. Può essere che qualche nome sia stato buttato nel calderone malamente – pensiamo a Sebastiano Ardita, stimato magistrato catanese di cui non possiamo che avere la massima considerazione, nemico delle massonerie da sempre. Ma in ogni caso sarebbe davvero un segnale incoraggiante una assunzione di responsabilità di chi è coinvolto: metteteci la faccia! Non fate come i piduisti, tutti lì ancora oggi a dire “ma io non sapevo!”, oppure “io? ma siete matti? io non c’entro”. Il loro gran maestro Gelli, quando i magistrati milanesi Turone e Colombo trovarono gli elenchi di Castiglion Fibocchi, si premurò di inviare messaggi pubblici ai suoi protetti nei quali li invitava a negare, negare, negare. Ecco, nel caso, abbiate più coraggio, uscite allo scoperto, fatevi vedere in faccia.
Post scriptum: a proposito di Eni, il tribunale di Milano ha acquisito nei giorni scorsi dalla procura di Brescia gli atti del fascicolo archiviato nel quale vi è anche un verbale dell’avvocato Piero Amara che getta un’ombra sui giudici del processo Eni-Nigeria, quello finito con l’assoluzione dei vertici del colosso energetico. Il legale fece riferimento a “interferenze delle difese Eni”, non provate. L’inerzia nell’indagine sul “caso Amara”, lamentata dal pm Storari, per alcuni sarebbe legata a questa mossa della procura sul caso Eni-Nigeria.