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Global Health Summit di Roma: un’occasione mancata soprattutto per la sinistra
Alla fine non ricorderemo le accuse dei nemici quanto il silenzio degli amici, diceva Martin Luther King dinanzi all’ipocrisia dei progressisti americani. Una constatazione che torna di attualità, dopo la straordinaria occasione persa a Roma con il Global Health Summit della settimana scorsa. Un appuntamento della sanità mondiale che è arrivato dopo più di un anno dall’infuriare della pandemia, e che è sembrato rimuovere completamente il trauma sociale e sanitario che stiamo vivendo.
A parte qualche retorico riferimento nel cerimoniale, i lavori del Summit sono scivolati come acqua sul vetro rispetto alla tragedia che ancora miete vittime in gran parte del mondo. Le mattanze in corso in Brasile e in India, il silenzio che avvolge gran parte dell’Africa, la spietata realtà che vede il 15% del mondo – la parte più ricca, ovviamente – assorbire l’85% dei vaccini, non ha scosso né le istituzioni né tanto meno gli osservatori. A colpire è stata proprio l’indifferenza da parte del mondo scientifico, culturale, politico, rispetto a questa scadenza, che invece avrebbe dovuto imprimere un’accelerazione verso una nuova visione dell’epidemia, legata agli squilibri sociali, come aveva spiegato qualche mese fa il direttore di Lancet, Richard Horton, che parlava non di pandemia ma di “sindemia”, ossia di un fenomeno prettamente indotto dalle sperequazioni dell’ecosistema planetario.