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Ma cos’è il rave? Sottocultura o controcultura?

Tra le cosiddette sottoculture quella rave occupa un posto particolare. Non si sa precisamente quando e come sia nata, negli anni Ottanta: ma si è radicata rapidamente, fino a guadagnarsi un posto di rilievo nell’immaginario giovanile. La techno-rave è una cultura profondamente estetica, come mostrano bene l’attenzione ai dettagli, lo stile dell’abbigliamento e il mutuo riconoscimento da parte dei frequentanti. Certo, non è un movimento di massa: può essere descritta, tuttavia, come un campo culturale ampio, formato da una moltitudine di comunità. Un’estetica impura, aggredita, come sempre avviene in questi casi, anche da aspetti commerciali, comunque dotata di una sua autonomia e legata a una sfera valoriale originale.

Cerchiamo di capire di cosa parliamo quando parliamo dei rave: si tratta di free parties, di liberi raduni di persone che si riuniscono in un determinato luogo per ascoltare o ballare musica da ballo prodotta elettronicamente. I primi rave sono nati in Inghilterra, e si sono rapidamente diffusi nel resto dell’Europa, soprattutto in Germania. Spesso questi raduni erano illegali e si svolgevano in fabbriche o magazzini abbandonati. Inoltre i rave, nella loro prima fase, sono stati spesso associati a spettacoli con luci violente e stordenti, a un'atmosfera suggestiva, all’edonismo e al consumo della “droga dell'amore”, l’ecstasy. Una sottocultura, nei suoi tratti essenziali, sostanzialmente pacifica, in cui il motto, sintetizzato nell’acronimo Plur, stava per una serie di valori condivisi: Peace, Love, Understanding e Respect (“pace, amore, comprensione e rispetto”). E questo pacifismo di fondo dei ravers lo si è visto bene anche nella mancata reazione allo sgombero poliziesco dei giorni scorsi.