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La ritirata di Truss

I sogni muoiono all’alba, recitava il titolo di un vecchio film. E così, nel giro di pochi giorni e poche convulse notti di consultazioni, si è sgonfiato l’ambizioso programma iperliberista di Liz Truss. Abbandonata dal suo stesso partito, la nuova prima ministra inglese si è trovata nella difficile condizione di dovere combattere su più fronti: non solo quello della fronda interna, rappresentata dai sostenitori del rivale Rishi Sunak e dai nostalgici di Boris Johnson, che tutto sommato “le sparava meno grosse”, ma anche sull’inatteso fronte esterno rappresentato dal Fondo monetario internazionale, da cui è giunto un severo monito. Al Fondo non garbava, infatti, una politica fiscale come quella prevista dal piano Truss-Kwarteng, che avrebbe finito per confliggere con la politica monetaria, da mesi perseguita dalla Banca d’Inghilterra, per contrastare un’inflazione senza precedenti, che supera ormai il 10%.

Inoltre, la ricetta, ispirata non solo a precedenti progetti della prima ministra, ma suggerita – si mormora – da qualche think tank americano di estrema destra, che prevedeva di redistribuire la ricchezza verso l’alto, con il taglio delle aliquote ai ricchi e la riduzione della spesa pubblica e dell’assistenza sociale, faceva temere possibili disordini: cosa che non ha mancato di mettere in allarme perfino le agenzie di rating. A dare la mazzata finale, ci si sono messi i mercati finanziari, che hanno giudicato la manovra rischiosissima, in buona parte costruita su nuovo debito, scatenando una tempesta monetaria che ha portato a un rapido crollo della sterlina, faticosamente arginato dalla Banca d’Inghilterra. Curiosamente, quello che avrebbe dovuto essere l’avversario politico principale, cioè il Partito laburista, si è limitato a godersi l’autoaffondamento della barca di Truss stando alla finestra, senza intervenire criticamente, se non in maniera piuttosto timida, probabilmente già soddisfatto dei sondaggi, che lo danno ormai stabilmente in grande vantaggio rispetto ai conservatori.