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La questione della “agenda setting” del governo Meloni
Leggi melonissime?
Primo decreto legge, ieri 31 ottobre, e prima conferma del giro di vite che un governo in camicia un po’ bianca e un po’ nera intende dare al Paese (alla “nazione”, come usa dire il presidente del Consiglio, senza rendersi conto della ridicolaggine dell’articolo maschile). Si tratta di un decreto cosiddetto “omnibus”, che contiene cioè un po’ di tutto – secondo una ormai consolidata, per quanto deprecabile, tradizione –, ma il punto ovviamente non è questo, quanto piuttosto il suo contenuto. Viene introdotta una nuova fattispecie di reato: quella del delitto di rave party, si potrebbe dire. Pene severissime per chi organizza feste o raduni con più di cinquanta persone in aree di ogni tipo, anche dismesse: il che potrebbe includere, a discrezione di prefetti o organi di polizia, qualsiasi occupazione di suolo pubblico o privato – anche quelle, eventualmente, a fini di recupero sociale. Nello specifico, si tratterà di vedere come sarà tradotto in legge il decreto, ma le premesse appaiono pessime.
Altro punto controverso, quello che riguarda l’“ergastolo ostativo”, difeso a spada tratta dalla premier e oggetto, invece, di critica da parte del suo ministro della Giustizia, il più liberale Nordio. A monte, c’è un pronunciamento da parte della Corte costituzionale. Non è ammissibile che un ergastolano – sia pure un incallito criminale – non possa accedere ai benefici di legge (come, per esempio, uscire dal carcere e poi rientrarvi nel corso della giornata) se non sia divenuto, nel frattempo, un collaboratore di giustizia. Ciò significa venire meno al principio di una pena non spietatamente punitiva ma rieducativa – e si potrebbe dire che configuri una sorta di ricatto di Stato nei confronti del detenuto: o ti penti o butto via la chiave della tua cella.