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Iran in crisi

Com’è noto da molto tempo, l’Iran è un Paese sottoposto a fortissime sanzioni economiche, dovute al suo programma nucleare. L’accordo raggiunto con la comunità internazionale sul nucleare iraniano, ai tempi della presidenza Obama, preludeva a un allentamento delle sanzioni. Ma poi l’amministrazione Trump ritenne quella scelta controproducente e pericolosa, e ritirò la firma degli Stati Uniti. Il governo che aveva raggiunto l’accordo, definito moderato nel senso di disponibile a rapporti non conflittuali con la comunità internazionale, e in particolare con Washington, perse le elezioni presidenziali del 2021; fu eletto l’attuale presidente Raisi, definito un falco, contrario a ogni miglioramento dei rapporti con la comunità internazionale, e in particolare con Washington.

Dopo una lunga riflessione, l’esecutivo di Raisi ha deciso di tornare a sedersi al tavolo dei negoziati per riportare in vita l’accordo firmato da Obama, e ritirato da Trump, comunemente definito come una rinuncia al nucleare in cambio della rinuncia alle sanzioni. Essendo l’Iran uno dei principali produttori mondiali di petrolio, il ritorno del suo greggio sul mercato petrolifero sarebbe molto rilevante. L’accordo con l’Iran è stato definito, dall’inizio della presidenza Biden, una delle priorità dell’amministrazione americana, che si è presentata con una scelta senza precedenti. Il presidente, infatti, ha negato colloqui di ogni tipo al principe della corona saudita Muhammad bin Salman, ritenuto responsabile dell’atroce delitto del giornalista e dissidente Khashoggi.

Elezioni in Iran, come volevasi dimostrare

Come previsto da tutti gli osservatori, l'ultraconservatore Raisi – candidato "ufficiale" della Guida suprema, l'ayatollah Khamenei – ha vinto le elezioni presidenziali di venerdì scorso in Iran. Si pensi che, su oltre cinquecento aspiranti, solo sette erano stati ammessi dal Consiglio dei guardiani della costituzione (composto da sei religiosi nominati dalla Guida e da sei giuristi convalidati dal parlamento su proposta del potere giudiziario), un organo che ha la facoltà di invalidare le candidature. La partecipazione al voto è stata, però, la più bassa di sempre: meno del 50% degli aventi diritto. Non siamo comunque ai livelli dell'Algeria, dove pure di recente si sono tenute delle elezioni per il parlamento e la percentuale dei votanti è stata di poco superiore al 23% (ma qui l'opposizione, organizzata nell'Hirak – il movimento che, nei mesi precedenti alla pandemia, era riuscito a mettere in scacco il potere –, aveva apertamente esortato al boicottaggio dello scrutinio).