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L’allodola e lo struzzo: Calenda indica alla sinistra come si costruisce...
Rimane grande la confusione sotto al cielo del centrosinistra, e – a differenza di quanto era portato a credere il presidente Mao – la situazione non appare per nulla eccellente. Non era difficile immaginare che l’intesa fra Letta e Calenda, per il modo in cui è maturata e i contenuti che l’hanno caratterizzata, suscitasse un vespaio di polemiche e rivalse. Si tratterebbe di un pasticcio fra un cavallo e un’allodola – dice qualcuno –, in cui però il gusto dominante, incredibilmente, sarebbe quello dell’esile pennuto.
In realtà, la dinamica e gli effetti di quell’intesa, che assegnano ad Azione (con +Europa) il 30% dei seggi dell’intero centrosinistra, ci dice che l’allodola è stata pesata almeno come uno struzzo. E non a caso. In poco più di un anno, il parlamentare europeo eletto nelle liste del Pd – e poi uscito dal partito sbattendo la porta, dopo le intese con i grillini – ha messo in campo un concentrato di opportunismo politico, acrobazia tattica e lucido marketing, che gli ha permesso di bruciare tutti i cantieri aperti di partiti in costruzione, arrivando rapidamente a mettere il tetto al suo edificio politico. Al netto di considerazioni di merito, sarebbe utile capire come questo percorso sia stato possibile, nonostante in questi ultimi trent’anni (diciamo dal disfacimento del Pci) la corsa a costruire partiti sia stata più affollata della maratona di New York.
Come si ricatta il Pd
Non c’è dubbio che Enrico Letta sia stato ricattato da Carlo Calenda e da Benedetto Della Vedova, che per la cronaca sarebbe il leader di +Europa: un capitano di lungo corso, questo, proveniente dai radicali, passato per il Popolo della libertà (che fu per un periodo il nome della formazione berlusconiano-postfascista), e uscitone poi con Gianfranco Fini (do you remember?). Alleati con il Pd di Renzi nel 2018, quelli di +Europa, senza Calenda, presero il 2,5% dei voti: cioè non superarono lo sbarramento del 3% ed elessero nei collegi uninominali i propri parlamentari (solo tre, se non andiamo errati), tra cui Emma Bonino al Senato. In tutto e per tutto, questi residui dei radicali di una volta devono la loro sopravvivenza al Pd e al suo elettorato. Stesso discorso per Calenda: se un personaggio del genere esiste, lo deve al fatto di essere stato presente nei governi di Letta e di Renzi, e poi alla circostanza di essersi fatto eleggere, nelle liste del Pd, al parlamento europeo.
I due hanno potuto ricattare politicamente Letta – con la minaccia di presentarsi alle elezioni per conto proprio, sulla base di sondaggi che assegnano loro il 4 o 5% dei voti – perché il segretario del Pd si è reso ricattabile. Avendo rinunciato al “campo largo”, si è dovuto acconciare in un campo strettissimo, e quasi del tutto improvvisato. Se i due si fossero presentati da soli, tra i già pochi collegi uninominali che il Pd riuscirà a vincere, ben dodici alla Camera e quattro al Senato sarebbero andati persi. Letta annaspa e per questo è ricattabile. Risultato? Un accordo monstre che assegna a una piccola forza – fatta di due componenti, Azione e +Europa – il 30% delle candidature nei collegi uninominali. Come se non bastasse, i due hanno imposto che non ci siano nei collegi candidature “divisive”. Il che, da un punto di vista numerico, è una cretinata. Se c’è infatti qualche speranza – in verità minima – di togliere dei voti ai berlusconiani in certe zone, poniamo, della Lombardia, ossia in una realtà dominata dal cartello delle destre, è proprio là che va schierata una berlusconiana fuoriuscita e “divisiva” come Gelmini, per cercare di competere. Se fai scendere in campo uno sconosciuto ex radicale o un altro qualunque scelto da Calenda, buonanotte!
Tutte le ambasce a sinistra del Pd
Pd e 5 Stelle, matrimonio senza alternative
Pd e 5 Stelle, innamoramento obbligato. Sembra uno di quei matrimoni concertati a freddo, quando si scommette sul fatto che l’amore verrà dopo, una volta che consuetudine e stima reciproca avranno preso il sopravvento sulla scelta nuziale.
A rendere inevitabile questo rapporto sono tuttavia l’esperienza comune del governo Conte e i sondaggi. I grillini hanno imparato che, senza alleanze e “patti”, non si governa. Hanno pure imparato dal vivo come la destra italiana non sia addomesticabile. Esaurita la spinta propulsiva antisistema, populista e antipolitica, i 5 Stelle hanno poche alternative nel loro futuro: dividersi da Casaleggio & Rousseau, oltre che dal fronte dei Di Battista, e tentare di diventare una forza collocata nel centrosinistra. Devono però fare una riconversione politica totale dando a Giuseppe Conte il ruolo della leadership e confidando nella sua popolarità acquisita da premier. Dalle prime uscite di Conte in veste di leader, non è infatti ancora chiara l’identità che il Movimento vuole assumere. Al di là della collocazione nel centrosinistra, quale sarà il suo apporto peculiare in un’alleanza che si ricandida al governo? Cosa diventeranno i 5 Stelle è difficile dirlo.