Tag: amazon
Amazon e Stellantis: lo “spillover” dell’auto digitale
Nel novembre del 1972, a supporto della mobilitazione dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto di lavoro, il Pci torinese, guidato da Adalberto Minucci, tenne un convegno in cui fu lanciato lo slogan “il nuovo modo di fare l’automobile”. Si intendeva dare forma a un’idea del controllo operaio che arrivasse a condizionare l’architettura produttiva della Fiat, introducendo elementi di co-determinazione del ciclo industriale. In realtà quella visione non andò lontano. Negli anni a seguire gli operai strapparono diritti rilevanti nell’informazione e contrattazione di aspetti decisivi della strategia dell’impresa – la cosiddetta prima parte dei contratti –, che però non cambiarono sostanzialmente il regime di comando in fabbrica.
Oggi quella suggestione viene rilanciata direttamente dal mondo imprenditoriale, e più esplicitamente dalle componenti digitali di questo mondo che stanno ripensando radicalmente l’idea stessa di produzione industriale e degli oggetti prodotti. L’intesa annunciata dal gruppo Stellantis con Amazon, i piani della Sony nel campo della mobilità, e ancora più esplicitamente l’intero progetto Tesla di Elon Musk, stanno riprogettando il concetto di automobile e soprattutto di guida individuale.
Amazon, come arricchirsi manipolando il mercato
La lezione di Amazon: mai più senza algoritmi
Nel suo saggio La società automatica (pubblicato da Meltemi), Bernard Stiegler spiega che in un processo che sostituisce l’evoluzione naturale della specie con una trasformazione artificiale guidata dal calcolo, il punto di crisi è dato dall’assenza di una proposta di sinistra che colga e rovesci la potenza di riorganizzazione sociale che il calcolo propone. La radicalità della dinamica – sostiene l’autore – è un elemento di precarietà e incertezza per il capitalismo, che la deve usare contro il lavoro; mentre potrebbe essere un vantaggio per chi mira a un riassestamento globale degli assetti e delle gerarchie sociali.
Una vera lezione, in questo senso, al sindacalismo globale viene dallo stabilimento di Amazon in Alabama. I fatti sono noti: dopo una pressione di circa metà dei cinquemila dipendenti per avere una tutela sindacale, si indice un referendum per il riconoscimento della rappresentanza dei lavoratori. La metà non va nemmeno a votare, e dei votanti solo un terzo si pronuncia a favore di un sindacato interno. Almeno 1.500 lavoratori, che avevano solo qualche mese prima richiesto a gran voce una tutela formalizzata, hanno cambiato idea. Le organizzazioni sindacali denunciano una pressione forte da parte della proprietà. Cosa assolutamente vera. Con tutti i mezzi di una potenza comunicativa quale quella di uno degli apparati più potenti del globo, l’azienda di Jeff Bezos ha fatto intendere a ognuno dei suoi dipendenti che l’entrata di un sindacato nello stabilimento avrebbe messo a rischio il futuro del loro lavoro.
Pacchi che (non) sorridono
La prima volta di Amazon in Italia
Jeff Bezos e i suoi non sono abituati agli scioperi. In generale non amano i sindacati e hanno qualche difficoltà di relazione con chi, come sta accadendo in queste settimane in Alabama, vuole iscriversi al sindacato e darsi una rappresentanza. Ovviamente in Italia il gruppo capitanato dal magnate della Silicon Valley è costretto spesso a fare buon viso a cattivo gioco. Ma il buon viso non basta davanti a ritmi di lavoro spesso intollerabili e a una catena d'appalti legata al mondo delle consegne e della logistica che rasenta lo sfruttamento.
È per questo motivo che per la prima volta in Italia, e sicuramente in Europa, lunedì 22 marzo i dipendenti diretti dei magazzini Amazon cui è applicato il contratto nazionale della logistica e tutti i lavoratori e le lavoratrici delle aziende di fornitura in appalto di servizi di logistica, movimentazione e distribuzione delle merci della filiera Amazon in Italia, si fermeranno per 24 ore.