Il duello tra Elly e Giorgia e la nuova forma partito
Fra qualche giorno saremo a quel “duello al sole”, per citare un famoso film degli anni ruggenti del western, fra Elly e Giorgia. Si tratta di un evento talmente scontato da risultare sorprendente. Vi proponiamo una sorta di breviario di considerazioni in avvicinamento, per meglio interpretarne, e forse perfino prevenirne, gli effetti. Il contesto lo prendiamo alla larga, ma poi nemmeno troppo. Il 3 novembre del 2008 venne postato online un grafico che fotografava la differenza di rilevanza sul web fra i due candidati allora in lizza per le elezioni presidenziali statunitensi, che si sarebbero tenute l’indomani: Barack Obama e John McCain. Incredibilmente il valore digitale coincise perfettamente con il distacco elettorale, che si misurò nelle urne il giorno seguente.
Per la prima volta, in maniera esplicita e spettacolare, la rete mostrava di essere una protesi della vita umana e non un luogo eccentrico di esibizioni tecnologiche. Cosa comportò questa coincidenza nelle modalità relazionali e organizzative a sinistra? La domanda dobbiamo conservarla in vista di quanto sta accadendo. Allora, sedici anni fa, un’età digitalmente antidiluviana, i dati erano ancora solo quantitativi. Si misuravano i contatti e la frequentazione dei siti. Oggi c’è la possibilità di raccogliere una vera cartella clinica su ogni elettore, ricostruendo una capacità di controllo delle masse come somma di un condizionamento di ogni singolo individuo. È la somma che non fa il totale, direbbe Totò.
Lavoro e diritti, l’inverno non è finito
Non è finita. Il lungo inverno dell’arretramento dei salari e dei diritti di chi lavora – avviato almeno a partire dagli anni Novanta, con la stagione della cosiddetta “politica dei redditi” e con le reiterate controriforme del lavoro varate da governi di centrosinistra, centrodestra e “tecnici” – è destinato ad avere una coda velenosa in questa legislatura, per volontà dei partiti della maggioranza di destra-centro e del governo Meloni. Un paio di disegni di legge, attualmente incardinati alla Camera e al Senato, indicano una continuità con la stagione segnata dalle cosiddette “riforme” del diritto del lavoro, attraverso provvedimenti come il pacchetto Treu, la legge Biagi, la legge Fornero, il Jobs Act.
Armi su armi
L’incontro del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, mercoledì 8 maggio, è sembrato sancire l’incremento della spesa militare italiana, o quanto meno il coinvolgimento sempre maggiore del nostro Paese nelle missioni Nato. La visita era incentrata ufficialmente sui temi di attualità in preparazione al vertice dell’Alleanza atlantica, previsto nel prossimo luglio a Washington, ma lo stesso Stoltenberg ha affermato che “si è discusso dell’aumento fino al 2% del Pil per le spese militari”, fermo oggi all’1,43%. “L’Italia ha l’ambizione di crescere e muoversi con gli altri”, ha detto il segretario norvegese, che non perde l’occasione per farsi fotografare con file di soldati. L’invasione dell’Ucraina e la retorica della difesa, nonostante non ci sia il rischio imminente di un attacco militare contro un alleato Nato, hanno fatto crescere un mercato e un consenso alle imprese belliche nell’aria da tempo. Dal 2014, anno in cui Stoltenberg è stato eletto segretario generale, l’Italia non ha mai smesso di incrementare la spesa pubblica dedicata agli armamenti, rendendo così evidente “il contributo di Roma all’Alleanza”.
Maggio argentino
Sono passati più di cinque mesi di governo, ma un chiaro sostegno da parte dell’amministrazione Biden alla politica economica di Javier Milei tarda a venire, nonostante il presidente argentino abbia più volte sostenuto che il rapporto con Washington, come con Israele, rimane il perno della sua politica estera. Di certo, la situazione potrà cambiare con un eventuale ritorno di Donald Trump nel 2025; ma per il momento Milei muove i suoi passi in una diplomazia che postula come prioritario il consolidamento di rapporti politici con partiti, leader e attori economici che non occupano cariche di governo. Si tratta, in gran parte, di figure dell’estrema destra e di uomini d’affari come Elon Musk, che, non a caso, si è detto entusiasta delle nuove possibilità che l’Argentina, grande produttore di litio, sembra offrire in ambito minerario. Milei finora ha seguito, in politica estera, un approccio estremamente ideologico e superficiale, che gli ha procurato più di qualche grattacapo con la Cina e il Brasile, e qualche scambio al vetriolo con López Obrador, con Gustavo Petro e, da ultimo, con Pedro Sánchez.