
L’estrema destra razzista e xenofoba ha scelto l’Italia per riunirsi. Sabato 17 maggio, si è tenuto al Teatro comunale di Gallarate, in provincia di Varese, il Remigration Summit, un incontro internazionale promosso da una rete di giovani militanti e organizzazioni neofasciste. L’evento era organizzato da “Azione, cultura, tradizione”, una piccola associazione, fondata da Andrea Ballarati, 23 anni, ex Gioventù nazionale, oggi attivista e punto di riferimento per i movimenti identitari internazionali.
Al centro del meeting c’è stata la “remigrazione”, che, al contrario di quanto si pensa, non è un neologismo. Indicava infatti il ritorno volontario di una persona migrante nel suo Paese di origine, con una varietà di motivazioni sempre ascrivibili alla sfera della libera scelta. Dopo un bagno in acque sovraniste, il termine, già ampiamente oggetto di dibattito in Francia, in Germania e in Austria e impiegato per la prima volta nel nostro Paese dalla Lega, si presenta ormai come sinonimo di deportazione forzata, giustificata dalla cosiddetta “grande sostituzione”.
Teorizzata dallo scrittore francese Renaud Camus (in un libro del 2010, Le Grand Remplacement),è la presunta colonizzazione della Francia, più in generale dell’Europa, da parte di migranti islamici provenienti dal Medio Oriente e dal continente africano, che minacciano di modificarne permanentemente la cultura mediante un “genocidio bianco”. Non importa che Camus sia stato condannato per incitamento all’odio razziale, le teorie del complotto, derivanti dal pensiero di un europeismo cristiano tradito, hanno messo radici nel dilagante conservatorismo continentale. Tanto che, inizialmente criticato e condannato, il termine “remigrazione” è stato recentemente sdoganato anche in ambito istituzionale. “Dal parlamento italiano un messaggio per chi odia l’Italia e viola la legge: remigrazione unica soluzione” – scrive su X il deputato leghista Rossano Sasso, che ha poi ribadito il concetto di rimpatrio, legandolo a un discorso di compatibilità culturale più che di sicurezza.
L’obiettivo dai promotori del summit era esplicito: “riconquistare l’Europa attraverso la remigrazione”, non solo di migranti irregolari, ma di tutti gli stranieri. Si tratta quindi di una proposta politica e ideologica radicale, che non mira a regolare l’immigrazione, ma a ribaltare le basi della cittadinanza, della convivenza e del multiculturalismo europei.Il messaggio è chiaro. E non si allontana molto dal progetto di carceri per migranti in Albania, portato avanti dal governo Meloni.
La notizia del Remigration Summit ha immediatamente sollevato le proteste di diverse organizzazioni, tra cui Anpi, Cgil, Arci, associazioni studentesche e collettivi antifascisti, che hanno convocato, nella stessa giornata, due manifestazioni antirazziste a Milano e un flash mob a Gallarate. Per la Cgil: “Dietro slogan che invocano sicurezza e identità si nasconde un progetto politico disumano e pericoloso che divide invece di unire, alimenta odio invece di costruire futuro”.
Anche il mondo accademico si è mobilitato: un gruppo di docenti dell’Università statale ha lanciato un appello per boicottare il summit e difendere i valori costituzionali. Così sabato scorso, oltre settanta realtà associative si sono ritrovate in piazza San Babila a Milano per “smascherare l’ipocrisia di un evento che promuove l’odio etnico e il razzismo strutturale”; il corteo era aperto da uno striscione nero, “Make Europe Antifa Again”, che ricalcava lo slogan simbolo del trumpismo. In piazza era presente anche la segretaria del Pd, Elly Schlein: “È grave che ci sia anche nel governo italiano chi dà sponda a raduni di questo tipo”, ha affermato, e ha scritto su X: “Se non si riconosce il pericolo ora, domani sarà troppo tardi”.
Purtroppo, ciò che rimane all’indomani del denso fine settimana lombardo sono gli articoli su tutte le testate nazionali, che parlano degli scontri durante i cortei ostili alla riunione neofascista. Con titoli come “Gli ‘antifa’ fanno scempio di Milano”, si sposta l’attenzione sulla risposta invece di problematizzare la presenza di un raduno europeo razzista sul territorio italiano. Si lascia che l’ira del lettore qualunquista si concentri sugli “antifa”, ormai descritti come i nuovi black bloc: orde di ragazzi in nero che spaccano oggetti di proprietà pubblica e privata; mentre la realtà è che sull’antifascismo si basa la nostra Costituzione, e le persone che hanno preso parte a queste manifestazioni a Milano sono semplicemente antirazziste. Le immagini delle cariche della polizia in via Boccaccio, con tanto di idranti, rilanciate da tutti i siti d’informazione, non fanno altro che spingere l’opinione dell’italiano medio disinformato verso quella della Lega, che ha definito le manifestazioni come “più pericolose del summit stesso”. In pochi, invece, hanno sottolineato la violenza insita nelle parole pronunciate a pochi chilometri dal corteo, o il fatto che i partecipanti al summit fossero in gran parte dei pregiudicati.
Il trentaduenne belga Dries Van Langenhove, fondatore del gruppo di estrema destra fiammingo Schild & Vrienden, nel 2024 è stato processato per violazione della legge belga sull’antirazzismo e per possesso di armi da fuoco. È stato condannato a un anno di reclusione, a una multa di sedicimila euro e allontanato dalla politica ufficiale per dieci anni. Un altro episodio emblematico ha riguardato l’attivista danese Rasmus Paludan, denunciato più volte per avere bruciato il Corano in pubblico e per le sue provocazioni contro l’islam. Addirittura, atterrato all’aeroporto di Malpensa con l’intento di partecipare al summit, è stato fermato ed espulso dal territorio nazionale “per motivi di ordine e sicurezza pubblica”. A questo folto gruppo di persone poco raccomandabili, il generale Roberto Vannacci ha però inviato un video, scusandosi di non poter essere presente, ribadendo il suo sostegno e specificando che la “remigrazione” non è uno slogan ma una proposta concreta.
“Il nostro scopo è costruire una rete di giovani patrioti europei, perché i nostri popoli possano difendere la propria identità” – ha dichiarato l’organizzatore del Summit Ballarati, aggiungendo: “Oggi i governi non fanno nulla. Siamo noi giovani a doverci prendere questa responsabilità”. Un aspetto preoccupante sta proprio nell’età dei partecipanti, perché, con l’esclusione del francese Le Gallou (classe 1948), il più anziano ha 36 anni: un dato che indica come le idee più radicali stiano facendo breccia nella cosiddetta generazione Z, ossia quella dei nati dopo il 1996. Nel teatro di Gallarate ha aperto l’incontro una tra le poche donne nel gruppo xenofobo a prevalenza maschile, l’attivista influencer della destra olandese, Eva Vlaardingerbroek, 29 anni, nota per le sue posizioni contrarie al femminismoe vicine alle teorie cospirazioniste.Ha parlato soprattutto delle cosiddette no-go zones, cioè di quelle aree delle città europee che sarebbero “autogestite” da persone straniere, da lei definite veri e propri “territori occupati”. In queste zone sarebbero comuni le violenze sessuali a danno delle donne europee, come strategia di “conquista e umiliazione”. Secondo lei, i veri rischi per le cittadine e i cittadini europei non riguardano il clima, o magari l’aumento delle tasse, ma le dinamiche demografiche e il calo delle nascite: “Ogni civiltà ha il diritto di sopravvivere. Questo è il nostro tempo: o ora o mai più. Se non cambiamo rotta, gli europei diventeranno minoranza in casa propria entro la fine del secolo. In Germania e Svezia, molto prima. E nessuna civiltà sopravvive diventando minoranza”. Vlaardingerbroek, usando i tipici espedienti retorici di ribaltamento dell’estrema destra, ha usato il termine “fascista” al contrario.“Questo incontro finirà nei libri di storia, o come l’inizio della salvezza dell’Europa, o come l’ultima resistenza di un manipolo di fascisti che hanno osato fermare il mondo felice”.
Anche il ministro Matteo Piantedosi ha parlato di democrazia, rispondendo a una domanda sull’approccio da lui preferito, riguardo al tema dell’immigrazione, fra quello dell’ala moderata del centrodestra e quello del Remigration Summit: “In democrazia c’è bisogno di tutti i contributi e di tutte le componenti rispetto a fenomeni così complessi”. E il Comune di Gallarate ha accettato di ospitare l’incontro “per non voler negare a qualcuno la libertà di esprimersi”. Poco importa, a quanto pare, che in questo caso si tratti di un gruppo di xenofobi che sogna un mondo privo delle libertà democratiche. Al sindaco, il leghista Andrea Cassani, è poi arrivata una lettera in cui l’attore e regista Alessandro Gassmann chiedeva di togliere il nome del padre, Vittorio, dal teatro che ha ospitato il convegno, citando anche alcuni parenti uccisi dai nazifascisti.
Parlare di “rimpatrio di massa” come soluzione ai problemi sociali ed economici del vecchio continente non solo significa calpestare i diritti fondamentali, ma anche dimenticare i movimenti storici delle popolazioni – tra cui la nostra – e ignorare la complessità del fenomeno migratorio.Senza arrivare a mettere in discussione i concetti di confine e di Stato-nazione, così come concepiti dall’Ottocento, basti pensare alla forte dose di sincretismo culturale esistente nel nostro Paese. Chi si fa promotore di queste vetrine internazionali, che diffondono la narrativa della “sostituzione etnica”, si rifà all’identità e alla tradizione, che però non esistono se non come frutto di un lunghissimo scambio interculturale. Forse sarebbe il momento di offrire, dentro e fuori dal parlamento, una buona lezione di storia per ricordare a tutte e a tutti le radici del nostro continente, risultato di secoli di migrazioni, scambi e contaminazioni.Inoltre, come ha spesso messo in evidenza lo storico Alessandro Barbero, non solo c’è una diversa percezione nella lettura dei dati migratori tra presente e passato, ma è palese il relativismo nell’interpretazione – ugualmente falsata – di uno stesso fenomeno. Un esempio è quello delle cosiddette “invasioni barbariche” dell’antichità. Sostiene Barbero: “Se eri uno storico tedesco dicevi ‘vedi il decrepito popolo latino salvato e vivificato dai giovani popoli germanici’; se eri uno storico francese o italiano dicevi ‘vedi quell’altissima civiltà creata da noi latini che loro, i barbari crucchi, hanno distrutto’”.
In un’Europa già attraversata da venti nazionalisti, il Remigration Summit ha rappresentato un ulteriore salto di qualità nella costruzione di un’internazionale dell’ultradestra giovanile. Un laboratorio di idee estreme, con una strategia comunicativa moderna, social-oriented, capace di parlare a una nuova generazione disillusa, attraverso video, meme, conferenze, infografiche e contenuti semplificati. Un fenomeno da non sottovalutare, non solo per la sua carica simbolica, ma per la sua capacità di fare rete, con un obiettivo comune: ridefinire l’Europa secondo logiche identitarie, escludenti, autoritarie e neofasciste. La posta in gioco, oggi, è la tenuta democratica delle nostre società. E ogni piazza, ogni voce contraria, ogni scelta in difesa della Costituzione diventa un atto politico importante. In questo contesto, assume una valenza fondamentale il referendum dell’8 e 9 giugno, quello in cui si voterà per ridurre il tempo di residenza necessario per poter presentare la domanda di cittadinanza da parte degli immigrati.