
Nell’ultimo numero di “Internazionale” Naomi Klein e Astra Taylor riflettono sul desiderio di apocalisse che attraversa una parte della nuova classe dirigente di stampo neofascista. Eredi di una corrente ultracapitalista, spesso imbevuti di retoriche millenariste, i ricchissimi, statunitensi e non solo, stanno adottando una postura tragica e messianica verso le sorti del mondo. Una prospettiva fatalista che serve a deresponsabilizzarli verso le comunità di cui fanno parte e i territori che soffrono le loro azioni. Non è un caso che miliardari come Elon Musk o Peter Thiel, tra i principali responsabili della crisi climatica in corso, si stiano preparando con bunker, ville autosufficienti e isole autonome.
Coscienti del rischio ecologico, e però legati a stretto filo con le cause che lo generano, questi nuovi potenti – secondo Klein e Taylor – sognano feudi privati, presentati come città della libertà, dove non vige più la legge statale e gli scambi commerciali sono scevri da “inutili” tasse. Sottratti dai – seppur minimi – obblighi della cittadinanza, gli iper-ricchi potranno in un futuro distopico godere di acqua e aria pulite protetti da mercenari privati. Un esempio è Próspera, in Honduras, descritta come una gigantesca Spa “dove fare affari senza vincoli”, e finita giustamente in tribunale per il suo status giuridico extranazionale.
In questo mondo “extra” sognato dagli oligarchi rientra anche l’extraterrestre. Lo dimostrano le incursioni di Jeff Bezos nello spazio – con tanto di pinkwashing dell’equipaggio femminile – e i deliri di Musk sulla colonizzazione di Marte. I desideri sembrano quelli, finora mai esplicitati così spudoratamente, di una classe sociale senza contatti con la realtà. La differenza di questa nuova élite da quelle del passato è che riesce a intrecciare pericolosamente distopie tecnologiche, fondamentalismo religioso, fatalismo, strategie comunicative e progettazione minuziosa di nuove realtà. Come scrive Klein, “sono pronti a sacrificare la creatività e le risorse del mondo sull’altare di un regno virtuale dove vige la legge del più forte”. I dati sono noti: un solo individuo, tra i ventitré più ricchi del mondo, ha effettuato nel 2023 una media di 184 voli su jet privati – generando emissioni equivalenti a quelle di una persona media in trecento anni.Tra gli esempi, c’è quello della famiglia Walton, proprietaria del colosso industriale statunitense Walmart, che con tre superyacht, produce la stessa quantità di CO₂ di 1.714 dipendenti Walmart.
Il problema è il loro stile di vita, ma nessuno sembra volerlo dire ad alta voce. Perché lo stile di vita degli oligarchi si è trasformato in mitologia contemporanea. Ma chi li idolatra? Se fino a qualche decennio fa ci si poteva confondere con aspirazioni a un capitalismo giusto e a una concorrenza leale, oggi chi ha contezza di ciò che accade non può non vedere i ricchi diventare sempre più ricchi, mentre cresce il numero degli indigenti. Allora perché gli oligarchi hanno acquisito tutto questo consenso?
Qui entrano in gioco due meccanismi propri dell’epoca digitale: l’interpassività prima, e l’ipnocrazia poi. Nel suo saggio del 2004, Estetica dell’interpassività, il filosofo Robert Pfaller parla del fenomeno del piacere delegato sotto forma di consumo: il godimento di qualcosa è parzialmente o totalmente lasciato ad altri, spesso a oggetti. Nonostante gli schermi di computer e telefoni, che deregolano il nostro spazio-tempo naturale e culturale, siano interfacce studiate per ampliare l’azione umana e inneschino catene di conseguenze nella vita reale che ne legittimano l’esistenza concreta, l’essere umano è privo di un ruolo attivo e di un controllo. McLuhan, in tempi non sospetti, sosteneva che “i media, in quanto estensioni dei nostri sensi, quando agiscono l’uno sull’altro, istituiscono nuovi rapporti, non soltanto tra i nostri sensi ma tra di loro”; e spiegava la capacità dei media di provocare una sorta di narcosi, suscitando nell’uomo “un amore per gli aggeggi che lo intorpidisce e lo rende incauto nel loro utilizzo”.
Questa narcosi ci ha reso imprudenti rispetto al potere che hanno questi mezzi, anche nella sfera politica. Platone riteneva che le giuste dimensioni di una città dovessero essere determinate dal numero di coloro in grado di udire la voce di un oratore pubblico. Una visione impensabile, difficilmente applicabile perfino alla polis greca, ma dice qualcosa sul ruolo dell’ascolto attivo e della partecipazione in una società pluralista. Se l’obiettivo dei social network era quello di connettere, ciò che viviamo oggi è piuttosto una “rivoluzione passiva”, ossia un processo in cui si verificano cambiamenti economici, politici e sociali senza il coinvolgimento delle masse. Noi, la massa, ci lasciamo trasportare, esprimiamo il nostro dissenso su piattaforme private di proprietà di oligarchi, come quelle di Meta e di Google, sentendoci appagati del nostro impegno civile e politico per aver letto il titolo di un articolo e averlo rilanciato nell’onda di informazioni che ci travolge ogni giorno. Inoltre, i social network fanno leva su un desiderio di protagonismo, diretta conseguenza dell’età aurea della televisione scadente e della pubblicità, che nel nostro Paese è coincisa con un volgare ventennio politico. Oggi chiunque ha l’opportunità di esprimersi. Questo ci ha reso attivi e liberi? Tutt’altro, ha piuttosto canalizzato ogni attività umana – vuoi fare l’artista? Instagram; vuoi organizzare eventi? Facebook; cerchi intimità? Tinder fa per te –, lasciando un grande vuoto comunitario.
L’interpassività è quindi lo specchio dell’interattività: delega la techne, l’arte, l’abilità, il fare, propria dello sviluppo umano, alla macchina. Oggi lo vediamo in modo chiaro con l’intelligenza artificiale. A noi resta il brainrot, il “marciume cerebrale”.Termine non a caso recentemente inserito nell’Oxford English Dictionary, usato per la prima volta da Henry David Thoreau in Walden ovvero vita nei boschi, nel 1854, per indicare il declino degli standard intellettuali dell’epoca. Nella contemporaneità, assume un significato tangibile. Si tratta, infatti, del presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona “come conseguenza di un consumo eccessivo di materiale online banale”, come lo scrolling compulsivo. Abbiamo perso la capacità di distinguere la partecipazione reale dall’illusione di interazione. Questo ha reso fertile il terreno per una nuova fase.
Qui si inserisce l’ipnocrazia, ossia la manipolazione percettiva delle masse tramite la rete. Lo spiega bene l’esperimento editoriale controverso di Tlon, Ipnocrazia, che ha come sottotitolo un eloquente Trump, Musk e la nuova architettura della realtà. Scritto da un fantomatico filosofo cinese, Jianwei Xun, il saggio è un meta-esempio di quanto tendiamo a fidarci di ciò che leggiamo se confezionato in modo credibile sul web. Jianwei Xun, infatti, con tanto di pagina di Wikipedia e pubblicazioni, non esiste: è un progetto meta-narrativo costruito che, sulla traccia del vero celebre filosofo dei media Byung-chul Han, è nato dalla collaborazione tra intelligenza umana e artificiale. L’autore inesistente è concepito non solo per teorizzare sui meccanismi della manipolazione percettiva contemporanea, ma per incarnarli e renderli visibili attraverso la propria stessa esistenza. Al di là delle implicazioni etiche dell’esperimento, ha la capacità di sollevare la domanda fondamentale della nostra contemporaneità: cos’è reale?
Nella realtà ipnocratica la verità è fluida, contraddittoria. L’overload informativo degli algoritmi si basa sullo stupore, non sulla realtà: perciò le narrazioni attuali sono sempre allarmiste e allucinatorie. Ne è un esempio la comunicazione altalenante di Trump, che usa picchi di sensazionalismo, seguiti da continue negazioni di dati. È un loop. Uno spettacolo continuo in cui la realtà si sgretola e viene sostituita da una narrazione fantasmatica. In questo contesto, il fact-checking è inutile: le persone non vedono più la notizia, anche quando è sotto i loro occhi.Come ha detto lo stesso Trump: “I love the poorly educated”. E non è una provocazione: è un programma politico. Questo tipo di comunicazione, secondo il saggio dell’inesistente Xun, ha la funzione di ipnotizzare le persone, riducendole a uno stato a cui ogni cosa diventa digeribile, specialmente se presentata come assurda o “esclusiva”. In questo contesto, le compagini dei complottisti come quelli di QAnon, che credono di sapere più degli altri sul potere sotterraneo woke, sono andate a rimpinguare i seguaci del Maga (“Make America Great Again”) e rappresentano la cartina di tornasole del sistema ipnocratico.
Chi vive in uno stato ipnocratico non distingue più tra fatto e finzione, tra reale e virtuale. È come se esistessero più mondi sovrapposti: uno dove Hillary Clinton è una satanista pedofila che gestisce un traffico di bambini in una pizzeria (“PizzaGate”), un altro in cui Elon Musk salverà l’umanità su Marte, e uno in cui la libertà coincide con l’annientamento dello Stato. Come ci spiega l’intelligenza artificiale, nel saggio del finto filosofo cinese Xun, l’irrazionalità, nella comunicazione di alcuni personaggi, serve a destabilizzare i normali parametri della razionalità, creando lo spazio per nuove forme di suggestione. È l’era di una geopolitica che si occupa sì di controllare risorse e territori fisici, ma deve fare i conti con gli stati di coscienza collettivi di persone che, sentendo tutto e il contrario di tutto, hanno perso il senso critico e il contatto con la realtà. “L’ipnocrazia non è un’aberrazione temporanea ma l’evoluzione logica del capitalismo nell’era della coscienza digitalmente mediata” – sostiene. In tale contesto le aziende tecnologiche hanno acquisito un potere incredibile, al pari di vere e proprie entità statali, che, come notava nel 2018 lo scrittore Rana Dasgupta in After Nations, sono in crisi.Non è un caso, quindi, che nell’attuale politica statunitense siano così incisivi i pareri dei tecno-oligarchi, tanto da essere parte integrante del governo.
Se i “fascisti dell’apocalisse” – come li chiamano Klein e Taylor – sono dove sono è probabilmente perché molte e molti sono vittime dell’interpassività o cadute nella trappola delle narrazioni ipnocratiche, in cui l’ipnosi collettiva alimenta una delega perpetua del pensiero e del potere. In questo sonno o delirio, l’oligarchia si rafforza senza bisogno di imporsi con la forza: basta che nessuno metta in discussione il sistema. Bisogna perciò capire come creare valide alternative.