
Secondo l’ex primo ministro britannico, Tony Blair, una transizione energetica, basata sulla eliminazione dei combustibili fossili a breve termine e sulla riduzione dei consumi, sarebbe “destinata a fallire”, e dunque è necessario resettare quelle strategie ambientali da lui definite “irrazionali”. La domanda di combustibili fossili è in crescita: il traffico aereo raddoppierà nei prossimi vent’anni, e l’urbanizzazione farà aumentare la domanda di acciaio del 40% e quella di cemento del 50%. Sono questi i “fatti scomodi” con cui bisogna fare i conti: una citazione – a rovescio – della “verità scomoda”, titolo del celebre manifesto ambientalista di Al Gore. La soluzione, secondo Blair, sarebbe da cercare nell’innovazione tecnologica, soprattutto per quanto riguarda la cattura di anidride carbonica, verso la quale andrebbero indirizzati ricerca e finanziamenti. (Blair è al momento consulente del governo saudita, grande produttore di petrolio).
Ho riportato queste dichiarazioni non perché consideri Tony Blair (esponente, a suo tempo, di una improbabile “terza via”) un personaggio autorevole, quanto perché le sue sono le idee che circolano nell’Unione europea, che ha abbandonato qualsiasi politica indirizzata alla mitigazione (ovvero al contrasto delle cause che favoriscono l’aumento di temperatura) a favore, semmai, di più tiepide politiche volte all’adattamento. Che poi sono appunto le tecniche ingegneristiche di cattura e seppellimento della CO2 e la produzione di energia nucleare (ritenuta dalla stessa Unione europea, una tecnica sostenibile, come se la risorsa uranio fosse illimitata).
In un libro postumo del 2024 – Come il cambiamento climatico potrebbe cambiare il mondo (edito da Castelvecchi, derivante da un articolo pubblicato dall’autore nel 2014 su “Development and Society”) – Ulrich Beck introduce il termine di “metamorfosi”, ovvero di “un cambiamento strutturale che fa saltare obiettivamente i capisaldi antropologici su cui si fondano le nostre società, rendendo possibile e necessario ciò che prima non lo era”. Secondo Beck, la comunità ecologica – la cooperazione tra Stati in precedenza avversari tra loro – si forma, o si formerà, non per spinta positiva ma per spinta negativa, non per valori ma per timori che uniscono. Se è impossibile, allo stato attuale, la cooperazione tra Paesi diversi, è però possibile che si raggiunga un consenso negativo su ciò che, a tutti i costi, deve essere evitato: la catastrofe globale. Beck usa, in tal senso, l’espressione “catastrofismo emancipatorio”, poiché, se il rischio giunge come una minaccia, esso porta con sé anche la speranza e il desiderio di scongiurarla. Cercherò – relativamente al solo aspetto dell’energia – di attenermi a questo pensiero: rendere pensabile e credibile (cioè possibile, ancorché necessario) ciò che per i governi, i politici, i mass media e l’opinione pubblica manipolata, non sarebbe possibile per motivi economici, sociali e politici.
Il cambiamento, qualora fosse realizzato, rappresenterebbe la più straordinaria occasione di evoluzione della civiltà umana mai presentatasi nella storia: costruire un sistema basato su regole universali in grado di organizzare la cooperazione tra i popoli di fronte al rischio climatico, avvicinandoci quindi all’orizzonte della “pace perpetua” di Kant. È una tesi che si riallaccia a quella sostenuta da Ferrajoli con la sua idea di Costituzione della Terra (si veda Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio”, Feltrinelli, 2022, e ancora Progettare il futuro. Per un costituzionalismo globale, Feltrinelli, 2025). Se pure l’ipotesi di Beck può apparire utopistica, essa è nondimeno l’unica possibile, pena la stessa sopravvivenza delle specie umana. Egli sostiene che l’alternativa sarebbe la barbarie, cioè la guerra, il disastro dell’umanità nel suo complesso, con il ritorno ancor più massiccio dei nazionalismi e dei sovranismi che cercano di opporsi, in modo non solo reazionario ma velleitario, a un cambiamento del mondo affermatosi oggettivamente.
Il quadro internazionale appare certo in controtendenza rispetto a questa tesi. Tuttavia, è solo la convenienza anche economica della cooperazione tra i popoli, in confronto alla tradizionale competizione nazionale, con i conseguenti compromessi politici e ideologici – accettare cioè che i regimi democratici cooperino con quelli autoritari in nome di una comune minaccia –, che può consentire di uscire dalla catastrofe. A rendere pensabile questa metamorfosi, è il fatto che gli strumenti per affrontare la crisi climatica ci sono, sono già potenzialmente disponibili e pronti per essere usati.
Si rende qui necessaria una premessa. Il consumo attuale di energia non è un fatto naturale; esso potrebbe essere facilmente ridotto senza drastici cambiamenti dello stile di vita, ma solo cambiando le abitudini. Al tempo stesso, una riduzione del consumo di energia migliorerebbe la stessa qualità della vita. Nel campo dei trasporti, per esempio (settore che consuma gradi quantità di energia soprattutto nelle città), si tratterebbe di passare dai trasporti individuali a quelli collettivi, facendo risparmiare, oltre all’energia, una grande quantità di tempo e abbassando lo stress legato alla guida delle vetture private nelle città. Stesso discorso per l’isolamento termico degli edifici, la quantità di cibo sprecato, e così via.
Ma il mondo è organizzato in modo diverso: la tv ci bombarda di pubblicità sull’ultimo modello di auto, inducendoci a credere che esso sia assolutamente necessario alla nostra esistenza; lo stesso avviene con i cellulari o i computer e, da ultimo, con l’intelligenza artificiale, la cui potenza, in rapida crescita, insiste nell’aumentare il consumo di energia. Nulla si dice, poi, riguardo alla progettazione urbanistica delle nostre città, che potrebbe essere realizzata diminuendo gli spostamenti – con la riapertura di negozi e botteghe di prossimità, contro il proliferare dei grandi centri commerciali – e aumentando il parco auto per il trasporto collettivo.
Qualsiasi discorso sui consumi di energia dovrebbe partire da una considerazione banale: le uniche fonti sostenibili (e perciò rinnovabili) sono il sole, il vento, l’acqua e quelle geotermiche. Altre diaboliche sostenibilità non esistono – tanto meno esiste l’uranio sostenibile o l’idrogeno prodotto da energia elettrica.“Più che uno sforzo tecnologico, dunque, è necessario un cambiamento del paradigma economico e culturale, capace anche di garantire ricadute positive oltre che sulla qualità della vita, sull’occupazione” (come scrive Federico Butera in Sole, vento, acqua. L’Italia a emissioni zero nel 2050, manifestolibri, 2023). I detrattori di questa tesi sostengono che queste fonti non basterebbero a soddisfare la domanda crescente di energia. Vedremo come questo non sia vero, ma, in ogni caso, a prescindere da questa falsa affermazione, resta il fatto che diminuire l’energia consumata resta comunque un obiettivo necessario.
Ancora, i detrattori dell’idea di una possibile metamorfosi sostengono che la soluzione più breve – per raggiungere l’obiettivo di produzione di energia – sia il nucleare. Qui il discorso è ingannevole e in malafede. Questa soluzione viene preferita solo in quanto semplifica grossolanamente il problema, e corrisponde alla piaga del pensiero determinista e macchinista, esito della famosa rivoluzione scientifica del Seicento (a partire da Cartesio, in particolare). Riguardo al nucleare, va fatto piuttosto un confronto tra questo tipo di energia e quella eolica e solare. Il solare, soprattutto per l’Italia, costituisce la fonte di energia più efficiente ed economica,per ovvi motivi di conformazione geografica del nostro Paese. Il costo del fotovoltaico, inoltre, è almeno tre volte inferiore a quello del nucleare. C’è poi da mettere in conto il rischio di incidenti, come a Chernobyl e a Fukushima. A Chernobyl, dopo l’incidente, si sono creati duemila kmq inabitabili attorno alla centrale (una superficie pari a quella della pianura padana), mentre a Fukushima si è stati costretti a ricorrere a un’evacuazione forzata. Infine, per l’Italia, il nucleare è sconsigliabile perché si tratta di un Paese ad alta densità abitativa (si pensi che ancora non si è deciso dove collocare le scorie delle ex centrali in dismissione).Perché allora dovremmo avere il nucleare? Le risposte – ci viene detto – sono due: la prima è che il fotovoltaico e l’eolico consumerebbero grandi quantità di suolo, attualmente destinato all’agricoltura. La seconda è che l’energia solare è intermittente, ovvero che la sua produzione varia nell’arco del tempo (giorno/notte, inverno/estate).
Ma a queste obiezioni si risponde facilmente. Anzitutto, in Italia sono ancora pochissimi i tetti degli edifici con pannelli solari; le fabbriche hanno addirittura solo il 7% di impianti solari sui tetti. Poi ci sarebbero i parcheggi, gli edifici pubblici come le scuole ecc., e, ancora l’agrivoltaico, ovvero l’uso del fotovoltaico, nel quale possono convivere agricoltura tradizionale e solare, diminuendo al tempo stesso la quantità di acqua necessaria. La seconda risposta è che un pannello solare in Italia produce il 40% in più rispetto a uno analogo in Germania. Nonostante ciò, la Germania ha settanta installazioni di solare per 70 Gw. In Cina, nel 2024, si sono installati due terzi degli impianti fotovoltaici di tutto il mondo, e in dieci anni i costi si sono ridotti del 90%, mentre continua la ricerca applicata sui materiali e sulla loro efficienza.
L’unico vantaggio (apparente) del nucleare di quarta generazione è che usa il plutonio sotto forma di scorie delle centrali nucleari vere e proprie. In realtà, non ci sono reattori di quarta generazione funzionanti, solo prototipi, ovvero progetti. Ricordiamo la storia del Superfenix: costruito nel 1976, terminato dieci anni dopo, costato venti miliardi, ha lavorato solo per qualche mese e poi è stato chiuso, perché era necessaria una grande quantità di acqua per il raffreddamento. L’acqua, però, rallentava il reattore, tanto che il Superfenix veniva raffreddato con sodio fuso. Ci sono ancora i minireattori, che avrebbero il vantaggio di essere costruiti in serie, oltre a essere meno pericolosi; anche questi, però, hanno bisogno di una verifica in tempi lunghi. Riassumendo, il nucleare di quarta generazione non è diverso da quello bocciato dai due referendum nazionali; il Superfenix ha fallito e i minireattori sono di là da venire.
Infine, c’è da fare un confronto tra solare e nucleare rispetto al problema dell’intermittenza del solare. La variazione del solare può essere recuperata in due modi: con le batterie al litio o con l’idroelettrico pompato (sollevare l’acqua nelle ore di poca o scarsa esposizione del sole e sfruttare il salto nelle ore di punta), o ancora, attraverso l’immagazzinamento dell’energia elettrica domestica, che può essere usata per le pompe di calore in inverno. Il surplus di energia elettrica da fotovoltaico può essere usato per produrre carburanti sintetici come l’idrogeno (per navi o aerei per i quali non si possono usare le batterie).
Ultima energia sostenibile è quella geotermica, rinnovabile e non intermittente. L’Italia ha luoghi di produzione eccellenti, come Lardarello, dove si produce energia elettrica direttamente, o indirettamente, per riscaldare le case. In Cina sono in corso enormi processi di sfruttamento della geotermia per riscaldare le case con impianti che sono quattro volte quelli del resto del mondo, così da ridurre i costi e i consumi di energia, con l’obiettivo di arrivare, in vent’anni, a eliminare le importazioni di petrolio.
Relazione al convegno conclusivo del ciclo “Emergenze ambientali e crisi sociali: un altro futuro è possibile”, organizzato da Crs Toscana, Legambiente e Fondazione per la critica sociale, Firenze, 10 maggio 2025.