Pensata come un momento interlocutorio e di raccordo tra la Cop28 di Dubai, e con la successiva Cop29, prevista a Baku in Azerbaigian nell’autunno prossimo, la Conferenza dei ministri dell’Ambiente, dell’Energia e del Clima dei sette grandi, tenutasi nei giorni scorsi a Torino sotto la presidenza italiana, non ha portato grandi novità. Nonostante le dichiarazioni ambiziose e le aspettative sbandierate dai protagonisti, un certo grigiore burocratico è aleggiato sui partecipanti, ospitati nello splendido contesto della reggia di Venaria. I rari momenti di vivacità sono stati quelli prodotti dai contestatori che hanno cercato, a più riprese, di raggiungere la sede del meeting, respinti con gli idranti e i lacrimogeni, e dai ragazzi di Extinction Rebellion, che si sono spogliati sui tetti esponendo uno striscione con su scritto: “Il re è nudo”.
Il documento finale scaturito dalla tre giorni di incontri è, sotto molti aspetti, deludente, e rispecchia l’andamento routinario del vertice, svoltosi all’insegna dei criteri, già criticatissimi, scaturiti da Cop28 (vedi qui). In continuità con la tragicommedia di Dubai, proseguono i tentennamenti sul phase-out, sulla eliminazione di carbone, petrolio e gas: l’accordo raggiunto prevede per il carbone un ulteriore slittamento, con la chiusura definitiva delle centrali nel 2035, anziché nel 2030 di cui si era a lungo parlato, e non assume nessun impegno concreto per l’eliminazione del gas e sullo stop ai sussidi alle fonti fossili e dannose per l’ambiente. Si è discusso solo di “eliminare gradualmente i sussidi inefficienti”, che rimangono peraltro ancora da definire, mentre sono nuovamente echeggiati gli appelli al rilancio del nucleare. Nel comunicato redatto al termine della riunione, i ministri hanno genericamente promesso di rafforzare la sicurezza energetica, e di mantenere “a portata di mano” (sic!) l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi; inoltre non hanno mancato di sottolineare la loro attenzione per l’attuazione dei risultati della Cop28 in materia di energia, che comprendono obiettivi già noti, quali il raddoppio della capacità globale di energia rinnovabile e il raddoppio dei miglioramenti dell’efficienza energetica globale entro il 2030.
Non si è visto, però, un sostegno deciso da parte dei Paesi industrializzati ad azioni concrete che vadano nella direzione su cui si era speso a Dubai il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che aveva proposto un “patto di solidarietà” per il clima. Guterres aveva chiesto di raggiungere zero emissioni nette già nel 2040, e di sostenere finanziariamente l’azione climatica dei Paesi più poveri e vulnerabili, in modo da raggiungere la decarbonizzazione a livello globale entro il 2050 in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi dell’accordo di Parigi.
Nel comunicato finale, i G7 si impegnano sì a sostenere i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili, a stabilire piani di investimento completi per l’adattamento, e a lanciare il G7 Adaptation Accelerator Hub per promuovere partenariati nei Paesi in via di sviluppo, al fine di accelerare l’attuazione dei loro piani di adattamento nazionali; ma, come si era già visto a Dubai, sul tavolo per ora ci sono solo spiccioli a fronte di un investimento fortissimo necessario in questo ambito. Se si volesse seriamente invertire la tendenza, sarebbe necessario sbloccare finanziamenti per il clima nell’ordine di migliaia di miliardi, ma non si sa bene dove andarli a prendere.
Forse le acquisizioni più interessanti emerse da Torino sono relative alla tematica dell’acqua. Si è cominciato a parlare di una “coalizione per l’acqua”, dato che la questione idrica rappresenta sempre più uno degli aspetti drammatici della crisi ambientale, che attraversa in forme diverse sia i Paesi sviluppati sia quelli in via di sviluppo, nei termini sia di quantità sia di qualità dell’acqua disponibile. Si tratta di una problematica non nuova – se ne parla almeno dagli anni Novanta, quando il sociologo norvegese Johan Galtung, scomparso qualche mese fa, prevedeva tristemente un futuro segnato da vere e proprie “guerre per l’acqua”. Ora, però, la questione viene finalmente affrontata: nel comunicato finale, si parla di “identificare obiettivi e strategie comuni per catalizzare ambizioni e priorità condivise per affrontare la crisi idrica globale e sottolineare il ruolo degli approcci multisettoriali”.
Ma, anche se il tema è stato proposto, il risultato non è dei migliori: si è parlato sì di una coalizione per l’acqua, e tuttavia gli obiettivi e le strategie comuni non sono sembrati uscire dalla logica del solo approvvigionamento e uso della risorsa; scarsamente affrontate invece appaiono le questioni della tutela e corretta gestione, a cominciare dalla riduzione dell’impronta idrica, dell’analisi di processi e prodotti; nessun impegno concreto è stato espresso, al di là di una generica preoccupazione, per la messa al bando di quelle sostanze chimiche, come i Pfas, che minacciano la disponibilità oltre che la qualità di questa preziosa risorsa. Nel comunicato si legge unicamente: “Ricordiamo inoltre il nostro impegno a prevenire attivamente l’inquinamento chimico o a ridurne al minimo i rischi associati, anche quando è causato da emissioni di sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino (…) come le sostanze per e polifluoroalchiliche (Pfas) che destano notevoli preoccupazioni”.
Tra le poche note positive, anche il fatto che il documento abbia posto l’attenzione sull’intero ciclo di vita dei prodotti in plastica, con l’obiettivo di ridurre il superfluo e di valorizzare processi e prodotti virtuosi di economia circolare che possano garantire prevenzione, innovazione e sostenibilità di intere filiere produttive. Inoltre, i ministri si sono impegnati a “incrementare in modo significativo” gli investimenti nelle reti elettriche, e hanno identificato l’efficienza energetica come un elemento essenziale della transizione energetica pulita.
In conclusione, a Torino, rispetto alle ambizioni della vigilia, non sembra siano emerse novità di rilievo, e si è assistito alla riproposizione di categorie vaghe e alla parata dei consueti buoni propositi, mentre ormai il tempo stringe. Insieme, i Paesi del G7 rappresentano il 38% dell’economia globale e sono responsabili del 21% delle emissioni di gas serra. Nessuno dei Paesi membri è però sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni nel 2030, che saranno ridotte “nella migliore delle ipotesi solo della metà del necessario”, secondo un rapporto recentissimo dello Institut for Climate Economics, in cui si afferma che, per raggiungere gli obiettivi di Parigi, gli investimenti andrebbero più che raddoppiati.
Intanto i mesi di gennaio e febbraio 2024 si collocano tra i più caldi degli ultimi decenni. Le strategie di lungo termine, cui si accenna ripetutamente nel documento, rischiano di essere a termine… lunghissimo: tanto lungo da rendere poco incisivi gli interventi, mentre il riscaldamento globale accelera e incalza.