Il disegno di legge sull’autonomia differenziata è approdato nell’aula di Montecitorio. Undici articoli che sfasciano lo Stato centrale e demandano a ciascuna Regione funzioni strategiche, esattamente le seguenti, elencate all’articolo 3: norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali, e promozione e organizzazione di attività culturali.
La macchina leghista si è messa in moto senza alcuna indicazione sulle coperture necessarie per finanziare livelli di servizi uniformi in tutto il Paese, e neppure esiste la previsione di un meccanismo perequativo per evitare l’aumento delle disparità tra i territori. Non è dunque solo un rischio, è ormai una certezza – sostengono gli osservatori – che si andrà verso un regionalismo delle disuguaglianze. Molto grave, tra tutte le cose gravi che sono accadute nel corso dell’esame di questo provvedimento (soprattutto lo sprezzo delle regole parlamentari), l’assoluta mancanza di trasparenza: nessuno è a conoscenza del lavoro del comitato nominato per definire i Lep. Non esistono gli atti di quel lavoro: abbiamo solo saputo delle eccellenti rinunce da parte degli ex presidenti della Corte costituzionale, Giuliano Amato e Franco Gallo, dell’ex presidente del Consiglio di Stato, Pajno, e dell’ex ministro della Funzione pubblica Bassanini.
Di certo sappiamo che l’Italia vive una situazione di disparità nell’accesso ai servizi – al Sud la spesa pro-capite per il welfare territoriale è la metà della media nazionale: si spendono in media 155 euro in meno per ciascun minore, 917 euro in meno per una persona con disabilità, 49 euro in meno per l’assistenza agli anziani. L’autonomia differenziata rafforzerà questa disparità introducendo un regionalismo competitivo e brutale, che ovviamente è il contrario del federalismo solidaristico richiamato dal concetto dell’unità del Paese, e guarda a una concentrazione di potere negli organismi regionali, burocratizzando e impoverendo la democrazia e il ruolo dei Comuni dai quali dovrebbe partire la spinta partecipativa per processi più democratici di pratica di governo. Questo testo, secondo l’accordo esistente nella maggioranza, verrà approvato contestualmente con la prima lettura parlamentare del premierato, si dice prima delle elezioni europee, ma è ormai prevedibile che accadrà dopo: la strada ha le sue complicazioni – speriamo anche che avrà i suoi ostacoli –, ma al momento niente sembra spezzare lo scellerato accordo della destra per abbattere la forma dello Stato voluta dalla Carta del 1948.
Vedremo. Intanto alla Camera, nella mesta giornata (lunedì 29 aprile) che ha avviato e concluso la discussione generale del testo Calderoli, seguiranno le votazioni dei singoli articoli e dei cospicui emendamenti delle opposizioni. Una deputata fa notare che, se questa roba passerà, anche l’immaginifico ritorno al potere di un centrosinistra, o comunque lo si voglia chiamare, potrà o vorrà fare alcunché: nessuno infatti avrà la forza, allo stato delle cose, di opporsi agli immensi interessi che aspettano di fiondarsi sulla torta. Parole da tenere a mente.