I negoziatori del parlamento europeo, della Commissione europea e del Consiglio dell’Unione hanno raggiunto un accordo “storico”, il 6 febbraio a Strasburgo, dopo cinque round negoziali, a partire dal luglio scorso, sul testo della prima direttiva Ue sulla lotta alla violenza di genere. Ma l’accordo rappresenta anche una delusione storica, perché una dozzina di Stati membri (tra cui Francia, Germania, Olanda, Austria e Ungheria) si sono opposti alla definizione comune europea del reato di stupro come costrizione, non necessariamente violenta, a un atto sessuale non consensuale.
La direttiva, proposta dalla Commissione simbolicamente nella giornata internazionale delle donne, l’8 marzo 2022, mira a prevenire e punire la violenza di genere, armonizzando con norme minime o misure coordinate sia le definizioni e le pene irrogabili per determinati reati, sia i diritti, la protezione e l’assistenza alle vittime in relazione ai procedimenti penali. E questo al fine di garantire, in tutti gli Stati membri, l’applicazione della Convenzione di Istanbul, ovvero la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell’11 maggio 2011.
A parte la questione spinosa della definizione di stupro, l’accordo ha mantenuto le disposizioni proposte dalla Commissione e sostenute dal parlamento europeo riguardo alla criminalizzazione, a livello di tutta l’Unione, di alcune forme di violenza di genere e a un migliore accesso alla giustizia, alla prevenzione e alla protezione delle vittime. La direttiva includerà un elenco più lungo di circostanze aggravanti per i reati, tra cui i crimini contro una figura pubblica, un giornalista o un difensore dei diritti umani, comportamenti intesi a punire le vittime per il loro orientamento sessuale, il sesso, il colore della pelle, la religione, l’origine sociale o le convinzioni politiche.
Significativamente, verrà punito come aggravante anche il comportamento inteso a preservare o ripristinare “l’onore”, che in tanti Paesi, Italia compresa, in anni ormai fortunatamente passati, veniva considerato come circostanza attenuante anche per gravi delitti.
Saranno introdotte nuove misure e definizioni di reati contro le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni forzati, e norme specifiche per i reati online (“reati informatici”): la condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato (articolo 7), lo stalking online (articolo 8), le molestie online (articolo 9) e l’istigazione alla violenza o all’odio online (articolo 10), più disposizioni riguardanti l’istigazione, il favoreggiamento, il concorso e il tentativo di commettere tali reati (articolo 11), il livello minimo della sanzione massima applicabile a questi (articolo 12) e le circostanze aggravanti (articolo 13).
Ma veniamo al nodo della mancata definizione comune del reato di stupro. L’accordo raggiunto tra co-legislatori non ha accettato il testo dell’articolo 5 della proposta di direttiva: “Gli Stati membri – disponeva il testo dell’articolo – provvedono affinché per ‘atto non consensuale’ sia inteso l’atto compiuto senza il consenso volontario della donna o senza che la donna sia in grado di esprimere una libera volontà a causa delle sue condizioni fisiche o mentali, sfruttandone l’incapacità di esprimere una libera volontà in quanto incosciente, ebbra, addormentata, malata, fisicamente lesa o disabile”.
Le due europarlamentari relatrici per la direttiva, l’irlandese Frances Fitzgerald (Ppe) e la svedese Evin Incir (socialdemocratica), pur riconoscendo gli importanti passi avanti fatti nell’accordo rispetto alla situazione attuale, hanno comunque espresso la loro “grande delusione”. “Non capisco – ha osservato in particolare Incir – come la lotta alla violenza di genere possa essere così controversa da incontrare tanti ostacoli da parte degli Stati membri, al punto di impedirci di includere una definizione del reato di stupro basato sul mancato consenso” da parte delle vittime (consent-based rape legislation). Questa definizione, in effetti, è stabilita in modo chiarissimo e circostanziato dall’articolo 36 della Convenzione di Istanbul.
L’articolo 36 della Convenzione, intitolato “Violenza sessuale, compreso lo stupro”, impegna i Paesi aderenti ad adottare “misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i responsabili” dei comportamenti intenzionali di atti sessuali non consensuali. Da notare che la Convenzione di Istanbul è stata firmata dalla Unione europea e da tutti gli Stati membri, ed è già stata ratificata dalla stessa Ue il 28 giugno 2023, mentre mancano ancora le ratifiche di cinque Paesi dei Ventisette: Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria, Lituania e Slovacchia.
La stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva menzionato la necessità di criminalizzare il sesso non consensuale nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione, davanti alla plenaria di Strasburgo del settembre 2023. “Vorrei che diventasse legge un altro principio fondamentale: ‘no significa no’”, aveva affermato, sottolineando che “non può esserci vera uguaglianza senza libertà dalla violenza”.
Nelle sue motivazioni, la proposta di direttiva spiega (considerando 13) che “lo stupro è uno dei reati più gravi in quanto viola l’integrità sessuale della vittima” e “implica uno squilibrio di potere tra stupratore e vittima che permette all’uno di sfruttare sessualmente l’altra a fini di gratificazione personale, affermazione del proprio dominio, ottenimento di un riconoscimento sociale, di un avanzamento di carriera o anche di un guadagno economico. In molti Stati membri – si puntualizza – la condizione perché si configuri uno stupro è ancora l’uso della forza, della minaccia o della costrizione. In altri, invece, basta la sola condizione che la vittima non abbia acconsentito all’atto sessuale. È questo – sottolineava la Commissione nella sua proposta – l’unico approccio che garantisce la piena protezione dell’integrità sessuale della vittima. È quindi necessario garantire un uguale livello di protezione in tutta l’Unione precisando gli elementi costitutivi del reato di stupro nei confronti di una donna”.
Al considerando 14, la proposta della Commissione spiegava ancora che “per definirsi tale, lo stupro dovrebbe includere esplicitamente tutti i tipi di penetrazione sessuale, con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto. L’assenza di consenso dovrebbe essere un elemento centrale e costitutivo della definizione di stupro, dato che spesso esso non implica violenza fisica o uso della forza. Il consenso iniziale dovrebbe poter essere ritrattato in qualsiasi momento durante l’atto, nel rispetto dell’autonomia sessuale della vittima, e non dovrebbe implicare automaticamente un consenso per atti futuri. La penetrazione sessuale non consensuale dovrebbe configurare stupro anche se commessa nei confronti di un coniuge o partner”.
Purtroppo, a nulla sono valsi gli sforzi di una dozzina di Paesi (compresi Italia, Belgio, Lussemburgo e Grecia), favorevoli a questa posizione della Commissione, condivisa dal parlamento europeo, perché non si è raggiunta la maggioranza qualificata necessaria in Consiglio per poter adottare la definizione comune del reato di stupro. Comunque, secondo quanto riferisce una nota del parlamento europeo, l’accordo ha inserito, nell’articolo 36 della direttiva dedicato alla prevenzione, una disposizione secondo cui gli Stati membri si impegneranno a rafforzare nell’opinione pubblica “la consapevolezza del fatto che il sesso non consensuale è un reato”. Inoltre, è stata accettata la richiesta del parlamento di affidare alla Commissione l’elaborazione di rapporti, ogni cinque anni, sull’applicazione della direttiva, con la possibilità di una sua revisione (sperando di arrivare finalmente in futuro, sulla base dell’evidenza, a ristabilire la definizione comune del reato di stupro).
Da notare, infine, un’altra criticità nell’accordo sulla nuova direttiva: il Forum europeo sulla disabilità (Edf) ha sottolineato che la sterilizzazione forzata non è stata inclusa tra le definizioni armonizzate di reato nell’Unione, ricordando che dodici Stati membri (tra cui Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca e Danimarca) consentono ancora, in certi casi, questa pratica nei confronti delle persone disabili, soprattutto donne.