La crescita è stata impressionante. Negli ultimi mesi, il partito di estrema destra, Alternative für Deutschland, ha guadagnato rapidamente consensi e terreno non solo nelle elezioni amministrative svoltesi in diversi Länder, come abbiamo per tempo segnalato su queste pagine (vedi qui), ma anche, e soprattutto, nei sondaggi relativi alle tornate elettorali che si approssimano, quella per le elezioni europee del 9 giugno e quella del settembre venturo, in cui verranno rieletti i parlamenti di Sassonia, Turingia e Brandeburgo. In tutti e tre gli Stati-regione, l’AfD è data attualmente nei sondaggi come di gran lunga la forza politica maggioritaria, con un picco che la darebbe addirittura al 34-35% in Turingia e Sassonia.
Tanto più colpisce questa impennata di consensi in quanto, fino a poco prima dell’esplosione del conflitto in Ucraina, la AfD pareva in difficoltà: era uscita dalle ultime politiche del 2021 piuttosto bastonata, ridimensionata sotto il profilo del peso politico e delle rappresentanze istituzionali ottenute, con un 12% dei suffragi e seggi conseguiti principalmente nell’Est, nonché indebolita dalla scissione operata dalla sua componente più estrema e dichiaratamente negazionista e neonazista.
Il recupero però è stato rapido e costante, indisturbato fino a qualche settimana fa, quando è trapelato da una inchiesta giornalistica, condotta dal sito “Correctiv”, che lo slogan populista della Re-Migration, della espulsione degli immigrati dalla Germania, si era trasformato da vaniloquio elettoralistico in un incontro segreto avvenuto a Potsdam, cui avevano preso parte singoli esponenti del partito e forze extraparlamentari di destra. Obiettivo: pianificare, a quanto sembra, la possibile realizzazione di quello che finora pareva poco più di uno slogan strumentalmente agitato. Per quanto possa apparire paradossale, l’espulsione di rifugiati – migranti anche in possesso di regolare permesso di soggiorno ma non “integrati” – è stato infatti un tema ricorrente nelle campagne svolte da parlamentari come Matthias Helferich, che hanno a lungo ossessivamente insistito sul concetto di “re-migrazione”, pubblicando sui social locandine di propaganda dal sapore fascista, e redigendo deliranti sommari sui “vantaggi” che giungerebbero ai tedeschi dalla deportazione di massa di milioni di immigrati in un non meglio definito “Nord Africa” o nell’Europa dell’Est: vantaggi che andrebbero dai risparmi sul welfare alla diminuzione dei prezzi degli immobili per effetto della riduzione della popolazione…
Le idee razziste che circolavano a Potsdam, come ha mostrato l’inchiesta di “Correctiv”, sono arrivate fino ai vertici dell’AfD, e al meeting sulla “re-migrazione” erano presenti anche figure di alto livello del partito.
Al di là del fatto che la partecipazione di esponenti di spicco di AfD alla riunione di Potsdam sia stata probabilmente solo una scempiaggine, e che il partito abbia smentito ufficialmente che la “remigrazione” faccia in qualunque modo parte del suo programma, e abbia cercato di far passare il tutto come un espediente ordito dalla sinistra per screditarne la dirigenza, la reazione è finalmente arrivata. Non solo nella forma di massicce dimostrazioni popolari, che la scorsa settimana hanno coinvolto quasi un milione di persone in diverse città tedesche, ma anche a livello delle massime autorità dello Stato.
Date le posizioni espresse dal partito, e in vista delle prossime elezioni nella Germania orientale, un monito è giunto anche dall’ex presidente della Corte costituzionale federale, Andreas Voßkuhle, che ha messo in guardia dalle conseguenze di un’eventuale affermazione dell’AfD. “L’AfD, come gruppo parlamentare più forte in uno o più parlamenti statali, stravolgerebbe il panorama politico tedesco. I capi politici di questo partito mirano a un cambiamento radicale del sistema”, ha dichiarato al quotidiano “Tagesspiegel”, e ha aggiunto che è a rischio la democrazia in Germania.
Non sono preoccupazioni isolate: in Sassonia e Turingia, l’Ufficio per la protezione della Costituzione ha confermato di avere classificato l’AfD come partito estremista di destra, e di sorvegliarne dichiarazioni e sviluppi; e il segretario generale della Cdu, Carsten Linnemann, è stato chiaro: il suo partito non collaborerà mai con l’AfD. “Non ci sarà nessuna cooperazione, nessuna coalizione, non importa dove”, ha dichiarato Linnemann. Per quanto riguarda il firewall contro l’AfD, invocato a suo tempo dalla Cdu, e finora rispettato da tutti i partiti, ha sottolineato: “È tuttora valido”. Per ora, però, il ricorso all’articolo 21 della Costituzione tedesca, che prevede la proibizione di formazioni che mettano in discussione l’ordine democratico, appare remoto, ed è stato utilizzato raramente – l’ultima volta contro il Partito comunista nel 1956. Una cordata trasversale di leader politici, qualche giorno fa, ne ha chiesto l’applicazione almeno nei confronti dell’organizzazione giovanile della AfD, che spadroneggia nei Länder dell’Est; ma per ora appare difficile che l’appello abbia un seguito istituzionale, anche perché c’è evidentemente un rischio molto concreto nel vietare un partito con un seguito ormai di massa.
Al di là della cintura protettiva che i partiti hanno costituito, e delle reazioni istituzionali, le manifestazioni contro l’AfD sono in ogni caso un forte segnale che giunge dalla società tedesca. Le proteste mostrano che nel Paese c’è anche chi si rende conto della pericolosità dei veleni che l’AfD ha concentrato in sé. È sperabile che le manifestazioni, anche prescindendo dal loro valore immediato, abbiano un effetto a lungo termine: sicuramente possono contribuire a far sì che un numero sempre maggiore di persone si chieda quale sia la vera posta in gioco, e quanto sia grave la situazione. Possono inoltre far sì che l’opinione pubblica guardi con più attenzione ai legami di lunga data tra l’AfD, le nuove organizzazioni di destra e le ideologie di estrema destra. Possono rendere finalmente palese una questione non da poco, facendo in modo che venga presa più seriamente, senza banalizzarla.
La politologa Julia Ebner ha dichiarato alla “Tagesschau” che le dimostrazioni della scorsa settimana possono spostare gli equilibri in due direzioni: o orientando sempre più gli umori della opinione pubblica contro l’AfD, o sortire l’effetto opposto: potrebbe infatti verificarsi una maggiore radicalizzazione degli elettori e dei simpatizzanti se al partito riuscisse di passare per vittima di una cospirazione dei “poteri forti”. Dal fronte della coalizione governativa giungono reazioni discordanti: se c’è chi come Nancy Faeser, ministra dell’Interno, ritiene “da considerare seriamente” l’ipotesi di mettere fuori legge l’AfD, da altre forze giunge più modestamente l’invito a discutere meglio e più apertamente tra i partiti del centro i gravi problemi che attanagliano il Paese, mostrandone la complessità, in modo che le frange dei “terribili semplificatori” ne risultino indebolite e non rafforzate.
Certo è che la Germania sta attraversando uno dei suoi periodi più difficili dal secondo dopoguerra, e che l’eventuale proibizione o ridimensionamento dell’AfD probabilmente cambierebbe poco in un Paese in cui gli eventi degli ultimi due anni hanno prodotto un sommovimento senza precedenti, con fenomeni di impoverimento di massa e un picco nella polarizzazione sociale.
La crisi tedesca nasce al crocevia degli effetti dell’onda lunga della pandemia e della guerra in Ucraina. Il successo dell’AfD è dunque figlio di una sorta di crisi di “rigetto” rispetto ai bruschi mutamenti intervenuti, che si riflette nelle paure di un elettorato sempre più volubile: proprio per questo, è difficilmente arginabile con i mezzi della politica tradizionale. Anche se il fenomeno AfD dovesse rientrare, la permanenza della democrazia in Germania potrebbe essere sempre meno garantita se non muterà l’approccio alla politica da parte dei partiti. La lezione vale per tutte le democrazie europee, messe alla prova da un quadro internazionale sempre più inquietante.