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Strategia della tensione e dintorni: la retorica della verità

Ogni anno, nella giornata carica di simboli del 9 maggio, con gli interventi e le celebrazioni, si susseguono le richieste di verità. Fare luce sugli anni di piombo, dipanare le ombre, chiarire le responsabilità e così via. È vero, non sappiamo molte cose del nostro passato recente, ma non è vero che non sappiamo niente: questo aspetto che andrebbe consolidato, rafforzato nel discorso pubblico, è invece sempre tralasciato se non taciuto. 

Sappiamo che le stragi di stampo neofascista furono realizzate da gruppi allevati e protetti dai nostri servizi segreti, che Ordine nuovo e Avanguardia nazionale sono state due centrali del terrore accolte dal mondo militare, e che hanno dato vita ai loro eredi spontaneisti, quelli che hanno agito a Bologna; sappiamo che le forze armate sono state tentate da interventi autoritari; che il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, spartiacque della storia della Repubblica, sono stati possibili grazie alla collaborazione o al non intervento – il che è la stessa cosa – degli apparati di sicurezza e alle scelte della Democrazia cristiana. La falsità del racconto brigatista, concentrato nel noto “Memoriale Morucci”, è accertata dalla commissione parlamentare Moro2. Le Brigate rosse hanno voluto nascondere la verità e non beviamo la storia che lo avrebbero fatto per tutelare persone sfuggite alle inchieste: avrebbero potuto raccontare i fatti senza fare nomi. L’elenco di ciò che sappiamo non è così breve. Ora si aggiunge anche la grande inchiesta bolognese sulla P2 come mandante della strage alla stazione, che si pone come un centro di novità assolute, potenzialmente in grado di scrivere un bel pezzo di storia – negli interventi tenuti il 9 maggio, lo ha ricordato Paolo Bolognesi, indomito presidente dell’Associazione delle vittime di Bologna. Ma nel discorso pubblico c’è molta genericità.