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La scuola domani

Il Centro riforma dello Stato (sezione toscana), Legambiente e la Fondazione per la critica sociale hanno organizzato una serie di seminari online (tuttora in corso, con il titolo generale “Un’altra scuola è possibile?”, vedi qui il programma) per mettere a fuoco, attraverso la lente provocatoria di un “cantiere utopico”, i problemi della scuola in Italia. L’attenzione è concentrata soprattutto sul ruolo e la funzione degli insegnanti, chiamati a svolgere il loro compito formativo in una situazione di difficoltà crescenti. “Terzogiornale” si sta inoltre interessando all’argomento con gli articoli di Stefania Tirini (si veda il suo ultimo qui). Nell’insieme, si va delineando il quadro di una funzione docente segnata da una costitutiva ambivalenza: da una parte, insegnare vuol dire svolgere un’attività di riproduzione sociale, di trasmissione dei valori borghesi e conformistici, legati in particolare alla meritocrazia e alla competizione nella vita e sul mercato del lavoro; dall’altra, c’è l’apertura di una possibilità di fuoriuscita dall’ordine esistente (da cui l’idea del cantiere utopico) mediante la proposta di un insegnamento che contribuisca a costruire, per i giovani, delle vie di cooperazione e maturazione collettiva, incentrate sull’attività del gruppo-classe da intendere come una palestra di riconoscimento reciproco e di autoriconoscimento.

Per mettere in risalto questo secondo aspetto della funzione docente, è necessario puntare su insegnanti che abbiano chiari, anzitutto, gli obiettivi da perseguire. Che non possono essere quelli derivati dai programmi e dalle indicazioni ministeriali – specie se si pensa che il ministero è oggi nelle mani di un esponente fascioleghista –, ma sono quelli iscritti nella Carta costituzionale che, all’articolo 3, impegna la Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. È la premessa indispensabile di un insegnamento che non affondi in un’ottica classista, discriminatoria nei confronti dei più deboli. Accanto a questo, dev’esserci lo sforzo di sottrarsi alla funzione “disciplinare”, o più semplicemente autoritaria, considerando che autorevolezza non coincide certo con autoritarismo. Il che significa evitare di ridurre l’insegnamento alla valutazione mediante i voti – i quali, tra l’altro, sono in contraddizione con la collaborazione tra i discenti che ogni docente dovrebbe invece sollecitare.