Belgio a rischio nazionalismo come la vicina Olanda? Sarebbe prematuro sostenere che uno scenario come quello dei Paesi Bassi – dove il Partij voor de Vrijheid (Partito per la libertà) di Geert Wilders ha vinto le elezioni anticipate con il 23,5% dei voti e 37 seggi – possa ripetersi a Bruxelles, dove tra l’altro risiedono le principali istituzioni europee. Ma nelle prossime elezioni europee del 9 giugno, che coincideranno con quelle politiche, un’affermazione del partito di estrema destra, Vlaams Belang (Interesse fiammingo), è più che probabile, visti i sondaggi che lo danno in testa con una percentuale del 23%, più o meno la stessa dei cugini olandesi.
Invitato da Salvini a Firenze, in occasione della recente adunata nera – nella persona del suo leader, Gerolf Annemans, uno dei tre europarlamentari del partito –, Interesse fiammingo, che alla fine del 2004 ha preso il posto del vecchio Vlaams Blok (Blocco fiammingo), condannato per razzismo e dunque escluso dalle competizioni elettorali, coniuga il liberismo con il protezionismo e la xenofobia, senza disdegnare, nelle sue componenti più estreme, contatti con formazioni neonaziste. Si batte inoltre per l’indipendenza e l’autodeterminazione delle Fiandre, regione di lingua olandese maggioritaria in Belgio (58% della popolazione), a fronte di una consistente minoranza francofona in Vallonia (32%). Annemans viene considerato un emulo di Puidgemont, il leader dell’indipendentismo catalano, oggi sostenitore del governo di sinistra di Sánchez. Ha pubblicato diverse opere, come Progetto Stato fiammingo e Operazione indipendenza fiamminga. Anche questa regione, come spesso succede nella logica delle piccole patrie, è la parte più ricca del Paese, non a caso vicina all’Olanda e accomunata dalla stessa lingua. Il partito, che conta circa ventiduemila iscritti, ha propri esponenti nelle istituzioni internazionali (cioè a Strasburgo) e nazionali: dalla Camera dei rappresentanti al Senato, oltre che in tutte le province fiamminghe. I suoi consensi sono cresciuti con la guerra in Ucraina e il sostegno che Kiev riceve dall’Unione europea: un sostegno per nulla condiviso dal partito di estrema destra. Malgrado l’isolamento in cui è relegato, il partito è diventato una delle forze più significative delle Fiandre e dell’intero Belgio.
A fare da argine alla sua avanzata, con tutta probabilità, sarà di nuovo il liberale Alexander De Croo. Già tre volte vicepremier (dal 2012 al 2020 nei governi di Elio Di Rupo, Charles Michel e Sophie Wilmès come ministro delle Pensioni, della Cooperazione e delle Finanze), l’attuale primo ministro, caratterizzatosi per una presa di posizione molto dura nei confronti dei massacri di civili perpetrati da Israele a Gaza, è il leader dei “Liberali e democratici fiamminghi aperti”, una formazione accreditata intorno al 20%. Fondato dall’eurodeputato Guy Verhofstadt, il partito si era originariamente caratterizzato da una politica fortemente liberista e thatcheriana, per poi però cambiare linea sostenendone una solidaristica e di sinistra liberale. De Croo è famoso per avere quasi eguagliato, nell’ottobre del 2020, dopo il voto del maggio 2019, lo stesso record del 2011 per la formazione di un nuovo governo, quando furono necessari ben 589 giorni. Dopo la brevissima parentesi di Sophie Wilmès (2019-20), succeduta a Charles Michel (2014-2019), De Croo riuscì a costituire un governo, tuttora in carica, detto delle “Quattro stagioni”, in omaggio a Vivaldi, perché riunisce liberali, socialisti e verdi – delle due parti linguistiche ma più forti nel Sud francofono – con i cristiano-democratici fiamminghi: quattro forze politiche.
In questo complicato contesto, non manca un’altra anomalia, sostanzialmente ignorata dai media: si tratta del Partito dei lavoratori del Belgio, una formazione di estrema sinistra, caratterizzata da una posizione fortemente critica nei confronti dell’Europa. Si dichiara marxista-leninista ed è membro dell’organizzazione transnazionale radicale “Incontro internazionale dei partiti comunisti e operai”, favorevole al dialogo con il presidente russo Vladimir Putin. In un contesto europeo – dove i partiti con queste caratteristiche, radicali e insieme ortodossi, sono quasi scomparsi – il Partito dei lavoratori ha acquisito sempre più consensi. Secondo i sondaggi godrebbe di un 19% in Vallonia, 9% nelle Fiandre e 13% a Bruxelles. Con queste percentuali, potrebbe portare a casa una ventina di seggi su centocinquanta a livello nazionale, collocandosi al terzo o quarto posto. È stata una crescita lenta: nel 2010 aveva solo l’1%, ma nel 2019 era salito al 10%. Con oltre quarantamila iscritti e con radici nel movimento operaio e studentesco, il Partito dei lavoratori è il principale partito della sinistra belga; è però escluso che possa fare parte di una riedizione dell’attuale governo di centrosinistra a guida De Croo.
La candidatura dell’attuale premier è tuttavia messa in discussione dall’esponente dei socialisti valloni, Paul Magnette, altro pilastro della maggioranza, dando vita a una competizione non proprio salutare per la coalizione. Molto dipenderà, ovviamente, dai risultati conseguiti dalle forze in campo. Appare insomma molto difficile che l’estrema destra di Interesse fiammingo possa insediare il suo leader in Rue de la Loi, sede dell’esecutivo belga. Pur restando l’allarme per una forza antidemocratica, che gode del consenso di un terzo dell’elettorato, le forze democratiche dovrebbero tenere. A differenza dell’Italia, dove ci tocca “tifare” – si fa per dire – per Giorgia Meloni contro la deriva ancora più a destra del leader della Lega.