È stato il turno di Paolo Bellini, presunto stragista, killer di Alceste Campanile, militante di Lotta continua assassinato il 12 giugno del 1975, uomo al soldo della ’ndrangheta e altro, al processo in corso sulla strage di Bologna. Uscito dal Covid, ma ancora in precarie condizioni di salute, Bellini tiene a dimostrare la propria volontà di collaborare: “Se avessi voluto potevo mandarvi un certificato – ha detto alla Corte –, sono ancora un pentito, anche se voi sbagliate ad accusarmi non ho interesse ad andare contro di voi”, ma l’accusa crede fermamente che la primula nera di Avanguardia nazionale (è stato a lungo latitante grazie a importanti coperture) abbia fatto la strage per soldi.
Ogni volta che depone in un’aula – era già successo a Palermo – emerge quel suo profilo di figlio represso da un padre autoritario: Aldo deve essere stato davvero un pessimo padre, se mandò il figlio in Portogallo ai tempi di Salazar, per conto del senatore missino Franco Mariani, per scovare gli infiltrati, e poi, con lo stesso scopo, ad arruolarsi in Avanguardia nazionale su richiesta di Giorgio Almirante; e se lo convocò in una specie di “vertice” subito dopo la strage del 2 agosto del 1980, insieme con l’allora procuratore generale Ugo Sisti, da sempre super-protettore del giovane fascista, e alcuni dei servizi segreti.
La sua posizione nel processo – sotto accusa sono anche l’ex capitano dei carabinieri, Piergiorgio Segatel, per depistaggio, e l’ex amministratore di condomini in via Gradoli, a Roma, Domenico Catracchia, che risponde di false informazioni ai Pm – pare fatalmente legata alla deposizione della ex moglie Maurizia Bonini, che lo ha riconosciuto con determinata sicurezza in un filmato dell’epoca girato da un turista straniero e spuntato solo di recente. “È piena di risentimenti, l’uomo nel video non sono io, lo dimostrerò e a quel punto la signora Bonini dovrà spiegare perché ha mentito. Bisogna chiedere a lei perché ha cambiato idea, forse per il ‘tintinnio di manette’? Lo vedremo”.
Continua a fare muro Bellini, negando di essere lui l’uomo con i baffi e la catenina con crocifisso al collo che appare nel video subito dopo lo scoppio della bomba: si tratta di una delle principali prove d’accusa che la Procura generale ha nei confronti dell’ex di Avanguardia nazionale. Attacca l’ex moglie, che ha fatto cadere un alibi che durava da decenni: fino al 2019, infatti, Maurizia Bonini ha sostenuto che, alle 9-9,30 del 2 agosto, Paolo Bellini era a Rimini, dove avevano appuntamento per poi andare in auto fino al Passo del Tonale insieme ai due figli e alla nipote Daniela per una gita. Sentita dai Pm, e poi anche in aula, durante la sua testimonianza, ha cambiato versione, dicendo che il marito arrivò a Rimini a un orario diverso, verso l’ora di pranzo, compatibile quindi con la sua presenza in mattinata alla stazione di Bologna.
“Ho mentito – disse Bonini – perché me lo chiese mio suocero Aldo”, di nuovo il vecchio padre. Bellini dice di aver trascorso la notte tra il primo e il 2 agosto in ospedale, a Parma, accanto al fratello ricoverato lì, e di essere poi partito con la nipote Daniela da Scandiano la mattina presto verso Rimini: ma il fratello non ha mai confermato questa versione. “Non so cosa ha detto mio fratello. Era ricoverato in ospedale, stava molto male e non si poteva muovere”, ha replicato Bellini liquidando la questione. A questo punto, finita la deposizione di Bellini, e vista la delicatezza della faccenda, oggi, venerdì 10, è stata di nuovo sentita la signora Bonini, la quale ha confermato la sua versione. Del resto Aldo non può più interferire.