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Autunno caldo ma senza termometro
Stupiscono le assonanze di clima e frenesia che collegano questa vigilia di estate a quella dei primi anni Sessanta, diciamo ’62 e ’63, per come ce l’ha ricordata il film Il Sorpasso che abbiamo rivisto in questi giorni per ricordare la scomparsa dell’attore Jean-Louis Trintignant. La corsa al mare, l’ansia di mondanità, la competizione nei consumi. Allora eravamo nel pieno del miracolo economico, con alle spalle la lunga stagione di ristrettezze della guerra. Oggi siamo nel terzo millennio, dopo aver attraversato crisi finanziarie, quale quella del 2008, agganciato riprese momentanee, per trovarci nel limbo di una pandemia che ha disorientato paralizzandolo il mondo, e per condurci poi all’inimmaginabile, fino a qualche mese fa, scenario di guerra, con missili e bombardieri nei cieli d’Europa. Un quadro distopico, che non riesce a frenare il sold out che da maggio campeggia in ogni località del Bel Paese. Da nord a sud, tutti in fila fra mare, montagna e città d’arte – invasi da turisti stranieri come non mai, e con battaglioni di italiani che prenotano fino a settembre.
Ovviamente, dopo i due anni di confinamenti e restrizioni non era imprevedibile questo scatto alla riapertura delle gabbie. Cosa che invece dovrebbe interrogarci è come mai questo “edonismo reaganiano” di massa – come avrebbe detto ai suoi tempi Renzo Arbore – non sia minimamente scalfito, se non diluito, dalle previsioni per il prossimo autunno. Il combinato disposto della guerra con un ancora tenace e minaccioso Covid non lascia spazio a molte illusioni. Già oggi, siamo alle soglie di un’emergenza energetica, con il taglio del 50% delle forniture di gas russo, mitigato solo parzialmente da una provvidenziale diversificazione nei rifornimenti grazie ad Algeria e Azerbaijan, mentre contemporaneamente si profila la massima approssimazione alla carestia cerealicola mai profilatasi in Europa negli ultimi due secoli. Il blocco dei porti ucraini, con l’azione di boicottaggio che i russi stanno conducendo nei confronti dei raccolti di grano e mais, fanno pensare che l’intera catena alimentare subirà un’impennata micidiale dei prezzi, che spingerà alla fame i Paesi più vulnerabili del Mediterraneo (e più in generale del continente africano), e nel vecchio continente permetterà esplosioni speculative sui prodotti più determinanti, come i mangimi per l’intera filiera degli allevamenti, e le farine per tutto il ciclo di pani e paste.