
Il 10 febbraio è stato presentato alla stampa, presso lo spazio Mac (Micromega arte e cultura) La Piazza di Venezia, un video-documentario, al tempo stesso agile (solo tredici minuti), denso e ricco. È stato realizzato per conto di “P.E.R. – Venezia consapevole Eps”, dal gruppo di lavoro composto da Pierandrea Gagliardi (regista), il sottoscritto, Mariolina Toniolo, Alberto Madricardo, Claudio Madricardo, Guia Varotto, Mario Santi, grazie al meritorio sostegno della Chiesa valdese, che destina le risorse dell’8×1000 al finanziamento di attività culturali e civiche nei luoghi in cui opera.
È il terzo video realizzato da “P.E.R. – Veneziaconsapevole”, dopo quelli sull’area di Sant’Elena nel sestiere di Castello (vedi qui) e sulle strade di Venezia (vedi qui), tutti accomunati dalla posizione del punto di osservazione e da una veduta in prospettiva sul presente; tutti imperniati sul vissuto, dando voce a testimonianze di studiosi e abitanti veneziani circa i cambiamenti nella fruizione e nella percezione dello spazio urbano sopraggiunti nel tempo.
Venezia è città vitale, e viva, nonostante la persistente narrazione che la vuole decadente e moribonda. Certo, è una città in sofferenza, non solo sotto assedio dei turisti ma invasa da una marea umana che non ha avuto bisogno di aprire brecce per dilagare al suo interno, perché ha trovato braccia aperte, insieme con porte e portoni. Oggi gli abitanti sono meno dei posti letto per turisti; si potrebbe quasi pensare di fare sindaco l’amministratore di piattaforme, Airbnb o Booking, che rappresentano la maggioranza degli utenti e usano la città sottraendole linfa vitale. La resa non è però un’opzione per i pochi residenti-resistenti, come non lo è lasciarsi andare a un sentimento di rimpianto del glorioso passato. Il documentario registra la condizione del luogo (spazio abitato) in un preciso momento storico, il nostro, in cui il dilagare dell’iperturismo e del sovraffollamento mette in pericolo la tenuta degli insediamenti che qualificano il paesaggio della penisola.
L’Italia è la culla dei centri storici, che hanno visto la luce, qui da noi, nel medioevo, con l’età comunale. Ciascuno di essi ha proprie caratteristiche peculiari che lo qualificano e lo differenziano dagli altri. Il filo rosso che li accomuna tutti, però, più del pregiato e notevolissimo patrimonio storico di arte, architettura, archeologia e paesaggio (dimensione in cui convergono ager, il territorio, e pagus, il borgo), è il virtuoso intreccio di urbs e civitas, grazie al quale la città fisica trova il suo contenuto autentico nella dimensione sociale della comunità locale. “Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così com’è percepita dalle persone, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.
Il carattere identitario e le qualità dei centri costieri – di pianura, collina o montagna– è messo a repentaglio dalla rinuncia a governare l’eccesso di flussi turistici, invocando il primato della proprietà privata e della libertà d’iniziativa, ma, in realtà, solo per non rinunciare neanche ai decimali dei vantaggi economici della nuova frontiera economica, che intossica l’ambiente meno dell’industria chimica, ma sul piano sociale disarticola e devasta le comunità. Senza cedere alla tentazione di atteggiamenti nostalgici – in inutile navigazione controcorrente rispetto al corso del tempo –, occorre rivendicare il diritto-dovere dell’amministrazione pubblica a orientare l’azione di salvaguardia delle nostre città. La politica (polis) deve prendere misure per tutelare la città fisica (urbs) e garantire la tenuta sociale della comunità (civitas).
Torniamo alla città lagunare, dove il dilagare delle strutture extralberghiere (B&B, affittacamere, case vacanza, e specialmente le locazioni brevi a uso turistico, attività di fatto priva di regolamentazione) ha drogato il mercato immobiliare, rendendo altamente tossico il mercato delle case in affitto. Ciò ha portato a una drastica riduzione della popolazione, e al paradosso di una città insulare in cui ci sono più posti letto per turisti che abitanti: molti in fuga perché impossibilitati a restare, altri perché puntano sulla rendita degli immobili posseduti nella città d’acqua, andando a vivere nelle periferie della terraferma o nei centri decentrati, più economici, con servizi migliori e una dimensione di vicinato.
Venezia è un esterno d’interni, residenziale… casa: con campi, campielli, corti, stanze cittadine abitate come spazi d’incontro, di gioco, di festa, appunto come estensione ed espansione della casa. La socialità si allarga dalla famiglia alla comunità e dalla casa alla città, il rapporto supplementare (come valore aggiunto o sommato) si fa qui complementare (come valore integrato, seconda faccia della stessa medaglia). Grande lezione, questa: insegna che si deve dar prova di ascolto e umiltà facendo strada all’esercizio dell’abitare a cui dar luogo. La dimensione domestica permea i tessuti urbano e sociale della città lagunare, imperniati intorno a corti, campi e campielli, che sono stanze a cielo aperto di uno spazio urbano che si presenta come estensione dell’abitazione, a cui lo lega una relazione di reciproca pertinenza, nel senso dell’appartenenza e non del possesso, a una città in forma di casa, con spazio a misura d’uomo in termini sia fisici sia psicologici. Dato che lo spazio contiguo alla casa (privata) è casa (comune), il sovraffollamento è percepito come violazione – fino a convincere la comunità a rinunciare al suo cuore, “La Piazza”. Le maiuscole non sono un refuso, si vuole mettere in evidenza che a Venezia c’è una pletora di spazi pubblici vari e diversi, ma nessuno di questi può competere con “La Piazza”, che è unica. La Piazza, che si presenta nella sua configurazione spaziale come autentico foro, della città è il salotto buono di terra, insieme al sistema bacino di San Marco-Canal Grande, che ne è il prolungamento in acqua.
Nel corso del tempo, questo spazio ha progressivamente perso la sua funzione di cuore della comunità e, da civico, si è fatto spazio commerciale di rappresentazione, prima ancora che di rappresentanza. In appena tredici minuti il filmato ricostruisce, attraverso testimonianze dirette, la sottrazione ai cittadini veneziani della loro Piazza, avvenuta progressivamente, negli ultimi decenni, fino a configurarsi come completa espropriazione perpetrata per finalità economiche a vantaggio di un sovraffollamento turistico e di ogni altra attività a scopo di lucro. Lo spazio pubblico è ormai oggetto di transazione commerciale; si autorizza lo svolgimento di manifestazioni di vario genere (dalle sfilate ai concerti), ma si nega l’uso civico dello spazio pubblico della Piazza, che non dovrebbe essere soggetto ad autorizzazioni di sorta, ma a semplice trasmissione di preavviso.
Agli impedimenti alla regolare fruizione dello spazio pubblico urbano, imposti dall’iperturismo, si sono aggiunte misure dettate da rischi e pericoli, timori e paure. Misure che “per distrazione” restano in vigore, e che, da eccezioni extra-ordinarie o provvisorie, permangono al di là dell’emergenza, finendo per essere illegittimamente considerate norma che fa dell’eccezione una regola. Ecco allora la “Direttiva del ministero dell’Interno per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili”, del 2009, che, pur essendo un atto di indirizzo e non una legge, è diventata prassi consolidata che nega a priori lo svolgimento di manifestazioni in una serie di luoghi centrali di varie città italiane. A Venezia il prefetto di allora, Lepri Gallerano, emette un decreto con cui vieta cortei e manifestazioni pubbliche nelle aree della zona Marciana (non meglio precisate), il ponte dei Greci, in prossimità dell’arcivescovado, il ghetto, l’isola di San Giorgio, nonché il Ponte della Libertà e il Canal Grande. Della vicenda abbiamo dato conto nel 2020 (vedi qui).
Di questa anomalia si è accorto un gruppo di cittadini che ha dato vita a un comitato spontaneo, il Comitato per la restituzione della Piazza San Marco alla città di Venezia, che ha lo scopo di far restituire “La Piazza” alla città, e per questo ha presentato un ricorso al Tar del Veneto, avverso a questo divieto ritenuto illegittimo e contrario ai principi, ai valori e alle norme del dettato costituzionale, che afferma la libertà di espressione, manifestazione e riunione, negli articoli 17, 18 e 21. Il 20 dicembre del 2019 il Tar del Veneto ha emesso un’ordinanza, con la quale non si esprime sull’istanza, declinando la propria competenza in favore di quella del Tar del Lazio in ragione dell’impugnativa della Direttiva del ministro dell’Interno Maroni, del 23 gennaio 2009, che sta a monte dei decreti del prefetto di Venezia (25/GAB/2009 del 6.4.2009 e 420/GAB/2009 del 9.12.2009), a cui fa riferimento il diniego del questore di Venezia. La causa è stata così ripresa da Roma, dove ci sono tempi biblici, dato che qui convergono tutti i ricorsi contro gli atti del governo. Dopo varie istanze di prelievo della pratica, nel dicembre scorso, il presidente del Tar del Lazio ha emesso un’ordinanza, chiedendo se permangano le ragioni del ricorso e, alla ricezione di una relazione che ne confermava l’interesse, ha fissato l’udienza nel prossimo aprile.
Non è questa la sola riduzione della fruizione subìta dagli abitanti a vantaggio esclusivo degli ospiti, che diventano invadenti e involontari padroni dello spazio pubblico. Il “turista” (come dice l’etimo del termine) dovrebbe essere ospite di passaggio, che parte e fa un tour per poi tornare a casa, e, durante la sua permanenza, dovrebbe essere rispettoso non solo del bon ton, ma dello spirito del luogo e delle regole non scritte che regolano la convivenza civile. Alla riduzione imposta dalla direttiva, si aggiungono i regolamenti comunali, che dovrebbero prima di tutto tutelare le esigenze degli abitanti, senza subordinarle a quelli dei turisti.
Tutti i veneziani hanno trascorso l’infanzia giocando in campi e corti; oggi, invece, si sono limitate le aree di gioco dei bambini. È nello spazio pubblico vicino a casa che si sono sempre fatte le festicciole dei bambini, oppure di sera, in estate, si portava un tavolino fuori dalla porta per stare con un amico o un vicino a chiacchierare e a bere un bicchiere di vino. Ebbene, oggi questo uso civico dello spazio pubblico è regolato. Ma non è nei regolamenti per il versamento di tributi per l’occupazione del suolo pubblico che bisogna andare a cercare come sono regolate le modalità di fruizione spontanea dello spazio pubblico, quest’attività è infatti normata dal Regolamento di polizia e sicurezza urbana, nonostante i cittadini abbiano proposto un regolamento per l’utilizzo civico dello spazio pubblico da parte degli abitanti.
Altra piaga è la diffusione dei plateatici esterni, sia per il disturbo alla quiete pubblica a causa della cosiddetta movida, sia, specialmente, perché privano lo spazio urbano dei suoi vuoti (parlando ora da architetto), che non sono lì per essere riempiti, perché hanno valore in quanto tali, andando così a bilanciare la relazione tra volumi e spazio, vuoti e pieni. All’inizio, con la pandemia, c’era una emergenza sanitaria a giustificare la cosa; ma questa occupazione è diventata poi permanente, con la pretesa di occupare lo spazio pubblico con sedie e tavolini, non solo d’estate ma anche d’inverno, con tende per il freddo che ne fanno volumi.
C’è ancora tanto da fare – non crociate e battaglie ideologiche, ma processi di elaborazione veramente partecipata di un’idea di città e delle strategie per attuarla, a breve, medio e lungo termine. Nel frattempo, i residenti-resistenti intendono piazzarsi nella loro Piazza.
[Il video-documentario La Piazza di Venezia, è visibile online sul canale YouTube di “P.E.R. – Venezia consapevole ETS”; verrà presentato in appuntamenti itineranti nei sestieri veneziani per allargare il confronto tra i pochi, agguerriti cittadini rimasti. Questi i link: qui in italiano, qui con traduzione in inglese, qui con traduzione in francese.]