
Due teocrazie
Seguiamo da sempre con attenzione la vicenda iraniana. La ragione è presto detta: perché si tratta di un grande paradosso del Novecento, secolo peraltro niente affatto “breve”, come dimostra anche la tarda guerra postsovietica tra la Russia e l’Ucraina. La storia delle rivoluzioni novecentesche si apre con quella russa (nel 1905 e ancora nel 1917) e si chiude, incredibilmente, con quella iraniana del 1979. In mezzo c’è una quantità di rivoluzioni, con un contenuto prevalentemente anticoloniale e antimperialista, tutte condotte mediante strumenti ideologico-politici mutuati dalla modernità occidentale, che invece non sono presenti nella rivoluzione iraniana. Dopo quella data, c’è la lenta dissoluzione del mondo sovietico: ma questo è un evento che segna soltanto la fine delle ultime propaggini dei regimi stalinisti in Europa, e non ha, contrariamente a quanto si è voluto far credere, portata epocale.
Invece la rivoluzione iraniana ce l’ha, eccome. Il suo successo marca, in modo vincente, quella che è stata detta la rinascita islamica, che ha molte facce, le stesse con cui abbiamo appreso a convivere dal 1979 in avanti: dai Fratelli musulmani (si pensi all’assassinio di Sadat in Egitto nel 1981) fino all’Isis. La riproposizione delle tradizioni unisce all’integralismo religioso una componente politica con accenti fortemente messianici. Qualcosa che sostituisce, presso popolazioni diseredate e assetate di futuro, l’aspirazione a un riscatto laico influenzato in precedenza dall’utopia marxista. È una forma di decolonizzazione del pensiero, quella delineata dagli islamismi radicali. Tra questi, lo sciismo iraniano si distingue per il suo culto dell’“imam nascosto”, che dovrà riapparire alla fine dei tempi ponendo termine alle ingiustizie.
Una guerra annunciata
Intorno alle due di notte di venerdì 13 giugno, gli aerei israeliani hanno colpito duramente l’Iran, dando inizio a una guerra fortemente desiderata, soprattutto negli ultimi mesi, dal governo di Tel Aviv. C’erano state avvisaglie, nei giorni immediatamente precedenti, ma molti, compresa Teheran, avevano immaginato che le minacce di un attacco imminente potessero rientrare in una strategia di pressione dettata dagli Stati Uniti. Avrebbero dovuto tenersi, domenica 15 giugno, i nuovi colloqui sul nucleare iraniano. I precedenti round negoziali non avevano registrato grandi passi avanti, soprattutto perché il presidente statunitense aveva deciso di chiudere di fatto le trattative, provando a imporre all’Iran niente meno che la resa totale sul punto in questione. Ma la Repubblica islamica era ben disposta a continuare a discutere con Washington, la cui posizione al momento sembra però essere schizofrenica.
Israele-Iran: guerra civile incrociata
La guerra è ormai una serie di “esecuzioni extragiuridiche “, scrive Grégoire Chamayou nel suo preveggente saggio Teoria del drone. Intende che, anche quando sembra che si spari nel mucchio, come appare a Gaza con l’ecatombe prodotta dai bombardamenti, ogni singola vittima è scansionata e individuata prima di essere colpita. Di collaterale non ci sono più gli effetti ma i bersagli. Quel marchingegno, considerato fino a qualche anno fa poco più di un intrigante giocattolo – il drone –, oggi è diventato sinonimo di un inesorabile apparato di individuazione ed eliminazione mirata, ed è l’emblema di una inedita modalità di combattimento, che non conosce ormai limiti né temporali né geografici.
Schlein e Bonaccini insieme contro i “riformisti”?
“Francamente, detto da un semplice osservatore esterno, non se ne può più”. Non possiamo che fare nostre le parole del politologo Antonio Floridia, pubblicate sul “manifesto”, all’indomani del voto referendario. Il riferimento è all’infinita lotta intestina interna al Pd che, come un virus pandemico, infetta da anni il principale partito della sinistra (o del centrosinistra, altro dilemma che non fa dormire sonni tranquilli a molti), di fatto fin dalla sua nascita, quando Walter Veltroni candidò un falco di Confindustria come Massimo Calearo e Antonio Boccuzzi, unico operaio sopravvissuto al disastro della Thyssenkrupp nel 2007. Un colpo al cerchio e uno alla botte, l’antefatto del renzismo.



garzia