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Tik Tok e il voto del 25 settembre

Uscendo dalla stazione di Napoli, ci siamo imbattuti in una vetrina della Feltrinelli in cui ogni libro era legato a un evento su Tik Tok. Libri di spessore che vengono raccontati, presentati, venduti, con il linguaggio sincopato del social più amato dagli adolescenti. Cosa può simboleggiare, più concisamente di questa vetrina, il cambio antropologico, prima ancora che politico, che sta trasformando il nostro Paese sulla scia di quanto già accaduto nei principali Stati occidentali? E cosa può annunciare più spettacolarmente come i percorsi del voto e dei consensi siano sempre più occasionali, emotivi, momentanei? Si vota come si legge: su Tik Tok. Non è una consolazione né una giustificazione preventiva, è la conferma che l’uomo è ciò che mangia: dunque, quanto accade è sempre conseguenza dei processi di trasformazione sociale.

Come diceva Alessandro Magno, per spingere avanti i suoi generali che avrebbero preferito tornare a casa, “non esiste più la Macedonia che abbiamo lasciato e potremo essere ancora re solo se andiamo oltre l’Hindu Kush”. Per cui, una testata come “terzogiornale”, che si propone appunto come luogo di una inconsueta e forse anche eccentrica meditazione – lenta e analitica dei processi più profondi, anziché delle evidenze più abbaglianti –, non darà indicazione di voto specifico ma chiamerà i suoi lettori a votare, comunque, per dare alla sinistra la possibilità di cominciare a pensare con più forza e determinazione dopo il voto: whatever it takes, costi quel che costi, come amava dire il presidente del Consiglio uscente.

Se la guerra diventa convivenza

Circa sessanta funzionari dei servizi di sicurezza ucraini sono rimasti nelle zone occupate dai russi. Solo la punta dell’iceberg di una realtà più complessa, in cui almeno seicento o settecento dipendenti di medio e alto livello dell’amministrazione di Kiev hanno deciso di non seguire le forze ucraine in ritirata. Più che di un tradimento, si tratta in molti casi di una semplice scelta di vita, da parte di famiglie che continuano ad abitare territori nei quali la convivenza con i russi non è certo un’eccezione. Ovviamente, dopo questi mesi di guerra, l’opzione di rimanere nelle aree occupate non può essere considerata, soprattutto da parte di dirigenti dei servizi di sicurezza, come una semplice decisione logistica. E infatti la conseguenza di queste scelte è che il presidente Zelensky ha fatto arrestare Ivan Bakanov, il capo dei servizi segreti ucraini, insieme con la procuratrice generale Iryna Venediktova, che paga anche per molti dei suoi collaboratori dell’amministrazione giudiziaria ancora residenti nelle regioni invase dalle truppe di Mosca.

Più che una guerra, quella in Ucraina sta diventando una convivenza combattuta. Da mesi, ormai, le due comunità – ucraina e russa – si trovano spalla a spalla nell’organizzare forme di condivisione del territorio. E questa promiscuità fra parenti – perché tali sono russi e ucraini – sta imbarazzando i vertici dei due Stati. Sono infatti davvero centinaia e centinaia i casi di cambio di fronte, o di semplice adattamento a una convivenza forzata.