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La lezione di Amazon: mai più senza algoritmi

Nel suo saggio La società automatica (pubblicato da Meltemi), Bernard Stiegler spiega che in un processo che sostituisce l’evoluzione naturale della specie con una trasformazione artificiale guidata dal calcolo, il punto di crisi è dato dall’assenza di una proposta di sinistra che colga e rovesci la potenza di riorganizzazione sociale che il calcolo propone. La radicalità della dinamica – sostiene l’autore – è un elemento di precarietà e incertezza per il capitalismo, che la deve usare contro il lavoro; mentre potrebbe essere un vantaggio per chi mira a un riassestamento globale degli assetti e delle gerarchie sociali.

Una vera lezione, in questo senso, al sindacalismo globale viene dallo stabilimento di Amazon in Alabama. I fatti sono noti: dopo una pressione di circa metà dei cinquemila dipendenti per avere una tutela sindacale, si indice un referendum per il riconoscimento della rappresentanza dei lavoratori. La metà non va nemmeno a votare, e dei votanti solo un terzo si pronuncia a favore di un sindacato interno. Almeno 1.500 lavoratori, che avevano solo qualche mese prima richiesto a gran voce una tutela formalizzata, hanno cambiato idea. Le organizzazioni sindacali denunciano una pressione forte da parte della proprietà. Cosa assolutamente vera. Con tutti i mezzi di una potenza comunicativa quale quella di uno degli apparati più potenti del globo, l’azienda di Jeff Bezos ha fatto intendere a ognuno dei suoi dipendenti che l’entrata di un sindacato nello stabilimento avrebbe messo a rischio il futuro del loro lavoro.

Lavoro, una sentenza che fa ben sperare

La Corte costituzionale, sulla base di una questione sollevata a Ravenna, ha esteso la tutela del lavoratore licenziato, ripristinando in parte la reintegrazione nel...

Lavorare meno, lavorare tutti

Non è un segreto che gli oppositori alla riduzione dell’orario di lavoro si trovino non soltanto tra i conservatori. Essi si annidano infatti numerosi...

8 marzo: si fa presto a dire “auguri!”

Non bastano gli auguri per tutte le donne che oggi vivono la ricorrenza della loro festa, perché la fase terribile che stiamo vivendo – complici la crisi economica che ci accompagna da più di un decennio e un anno di pandemia che ci sta mettendo in ginocchio sotto tutti i punti di vista – corrisponde a un periodo nero per il mondo femminile. Una crisi che, dal punto di vista occupazionale, ha colpito principalmente i lavoratori autonomi e quelli a tempo determinato. E proprio per questo ha inciso negativamente sull’occupazione femminile. Basti pensare che, pur in presenza del blocco dei licenziamenti, che resterà in vigore fino alla fine di marzo, i dati Istat 2020 ci dicono che su 101mila lavoratori che hanno perso il lavoro a dicembre (-0,4% rispetto a novembre), ben 99mila sono donne e solo duemila uomini.

Non solo le donne, tra i lavoratori, sono le più colpite dal Covid e hanno lavori più precari o irregolari, ma detengono anche un altro primato: sono quelle che continuano a morire per mano del partner o dell’ex. Solo tra gennaio e febbraio si contano in Italia già dodici donne uccise, dodici femminicidi, un problema culturale che abbiamo già toccato su terzogiornale. Non c’è quindi molto da festeggiare in questo 8 marzo 2021.