Due settimane di mobilitazione incessante da parte dei giovani della GenZ hanno portato alla fuga del presidente, Andry Rajoelina, e alla presa del potere da parte dei militari. Un golpe? Per capire, è bene riavvolgere il film dall’inizio. A partire dal 25 settembre, i giovani (ma anche meno giovani) scendono per le strade della capitale Antananarivo, per protestare contro le continue interruzioni dell’acqua e dell’elettricità. Il problema dura da tempo, e, un anno fa, aveva già provocato manifestazioni in diversi quartieri della capitale; tanto più che si accompagna a una grande povertà della popolazione: otto malgasci su dieci vivono, secondo la Banca mondiale, in condizioni di povertà estrema. Il fenomeno delle interruzioni si era però aggravato nelle ultime settimane.
La reazione del governo: gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti. I giovani sventolano la bandiera pirata tratta dal manga giapponese One Piece, diventata il simbolo internazionale della protesta in Nepal come in Indonesia. Alla base della rivolta, la denuncia della corruzione – è una piaga che da sempre affigge il Paese, la distanza della politica e delle istituzioni dai bisogni delle persone. La protesta si diffonde attraverso i social e il portale del movimento GenZ Madagascar. Mantiene così i contatti, allarga la mobilitazione ad altri centri del Paese, sfida il divieto a manifestare e la repressione violenta: una ventina di manifestanti uccisi, e oltre un centinaio di feriti, nei primi giorni.
La risposta del presidente Rajoelina – al potere dal 2009, dopo un colpo di Stato militare a seguito di manifestazioni popolari – è stata affannata e confusa: prima licenzia il ministro dell’Energia, poi sfiducia il primo ministro e l’intero governo, evocando un “colpo di Stato” nei suoi confronti, ispirato da forze straniere che avrebbero manipolato i manifestanti. Il risultato è la radicalizzazione politica della protesta, che chiede al presidente di andarsene, lo scioglimento del Senato, solo parzialmente elettivo, dell’alta Corte costituzionale e della Commissione elettorale indipendente. Tra i personaggi del potere contestati, il bersaglio grosso dei manifestanti è l’uomo d’affari Mamy Ravatomanga, principale finanziatore del presidente Rajoelina, simbolo della collusione tra affari e politica, finora intoccabile, tanto potente e temuta era la sua influenza sull’intera società.
Non molto diversamente dal movimento della GenZ in Marocco (vedi qui), i giovani del Madagascar denunciano la propria condizione sociale, a cominciare da quella della formazione in condizioni strutturali precarie e inadeguate, mentre le classi privilegiate possono permettersi di mandare i propri figli a studiare all’estero. Il quasi mezzo milione di giovani che ogni anno si presenta sul mercato del lavoro è dunque insufficientemente formato, privo di reali prospettive di lavoro dignitoso; così molti giovani sopravvivono con l’economia informale, mentre si allargano le differenze con una élite privilegiata. Anche per questo, al movimento della GenZ si uniscono progressivamente diversi sindacati.
Nel tentativo di rispondere alle rivendicazioni, il presidente nomina, dopo una settimana dalla sfiducia all’intero governo, un generale come primo ministro – comunque un segnale di debolezza –, e moltiplica le consultazioni con diversi attori politici, amministrativi, sindacali e imprenditoriali. Il presidente arriva a dichiarare di volere rinunciare a correre per un terzo mandato, come aveva invece lasciato intendere una settimana prima dell’inizio delle manifestazioni, benché la Costituzione non glielo permettesse. Ma la repressione continua, senza che la protesta dia segni di debolezza. È in questo contesto di grande incertezza che, l’11 ottobre, si uniscono ai manifestanti i militari di un corpo speciale dell’esercito – il Capsat, lo stesso che, per ironia della sorte, aveva messo al potere il presidente Rajoelina nel 2009.
Gli stessi militari si appellano ora alla diserzione da parte degli altri corpi. Il tentativo del potere di riprendere in mano l’esercito fallisce. Nel giro di una giornata, l’insieme delle forze non risponde più agli ordini del presidente che, mentre denuncia il tentativo illegale di presa del potere, si rende irreperibile. Intanto, l’ex primo ministro, Christian Ntsay (2018-25), e il principale sostenitore Mamy Ravatomanga, fuggono dal Paese, isolando ancor più il presidente che li segue poco dopo, con l’aiuto della Francia, pur continuando a dettare fantasiosi proclami, come il rispetto della Costituzione e – con un comunicato su Facebook – lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, che invece, per tutta risposta, il 14 ottobre vota la decadenza del presidente.
Le scene di solidarietà tra GenZ e militari, danno ora spazio al confronto e agli interrogativi. L’uomo del corpo speciale Capsat che ha preso il controllo delle forze armate, il colonnello Michel Randrianirina, lo stesso 14 ottobre, annuncia la presa del potere, o meglio “la messa in opera di nuove strutture”. Il giorno seguente, il Consiglio di sicurezza dell’Unità africana, come in tutti i casi di colpo di Stato, sospende il Madagascar, dalle attività e dalle istituzioni dell’organizzazione panafricana, rigettando un cambiamento di governo ritenuto incostituzionale. Il colonnello Randrianirina annuncia allora la costituzione di un Consiglio di difesa nazionale di transizione, che eserciterà il potere con l’ausilio di un governo civile di transizione composto da diciotto membri, per un periodo non superiore ai due anni. Promette che il primo ministro sarà scelto di concerto con la GenZ. Il 17 ottobre, giurerà come presidente della rifondazione della Repubblica, nella sede dell’alta Corte costituzionale, che gli ha chiesto di esercitare le funzioni di capo dello Stato.
Ora i militari hanno iniziato le consultazioni con la GenZ e con il resto della società civile. Hanno decretato la sospensione della Costituzione e lo scioglimento delle principali istituzioni, ad eccezione dell’Assemblea nazionale. Il colonnello Randrianirina si era già messo in evidenza come un oppositore del regime: per questo era finito in prigione due anni fa. Incarna sicuramente una tradizione del Paese: nei momenti di acuta crisi politica, i militari hanno preso il potere per rimetterlo ai civili. La GenZ intende restare attiva e determinare il nuovo corso. Le sfide sono enormi, non solo per l’urgenza di ristabilire la fornitura regolare di acqua ed elettricità, ma soprattutto per ridare una speranza e un futuro a una generazione e alla stragrande maggioranza della popolazione.









