A poche settimane dalle elezioni del 26 ottobre, che rinnoveranno parte del Senato e del Congresso, il governo di Javier Milei scende sensibilmente nell’approvazione rispetto al momento del suo insediamento, nel 2023. Un recente sondaggio di Opina Argentina indica che il 58% delle persone intervistate valuta negativamente l’attuale amministrazione, un dato che conferma una tendenza che dura da quattro mesi consecutivi.
Il sondaggio è stato effettuato poco dopo le elezioni nella provincia di Buenos Aires, dove vive il 37% dell’intero elettorato argentino. Il partito di Javier Milei aveva fatto l’errore di trasformarle in un evento nazionale e in una sorta di plebiscito sulla figura del presidente (vedi qui). Il risultato era stato una batosta per Milei, superato dai peronisti con quasi il 14% in più dei voti. La recente rilevazione rivela che il gradimento del governo ha raggiunto i minimi storici con solo il 39% di giudizi positivi, un calo di tre punti percentuali rispetto al mese precedente.
L’indagine conferma un altro recente sondaggio condotto da AtlasIntel per Bloomberg News, secondo il quale più della metà degli argentini (53,7%) disapprova Milei, con il 42,4% che invece lo sostiene. Per quanto riguarda le elezioni di ottobre, AtlasIntel prevede che La Libertad avanza, il partito di Milei, le vincerà, nonostante si sia dimezzato, da luglio, il vantaggio stimato su Fuerza patria, il principale partito dell’opposizione peronista. Il momento difficile per Milei si spiega, in primo luogo, con una serie di scandali che ha coinvolto il governo dell’uomo della motosega, da quello della criptomoneta Libra all’ultimo scoppiato in agosto, che coinvolge con accuse di corruzione la sorella e principale consigliera del presidente, Karina Milei.
Sta di fatto che la corruzione è diventata la principale preoccupazione degli argentini, eclissando la disoccupazione e l’inflazione: nei social e nelle manifestazioni spopola Alta coimera, Karina es alta coimera (coima in spagnolo vuol dire “mazzetta” o “tangente”, e coimera si potrebbe rendere con “mazzettara”), ritornello di una versione della famosa Guantanamera, creata da María Paula Godoy e Juan Mangera, e diventata un inno contro il governo di Javier Milei. Alta coimera è stata la risposta della coppia di musicisti allo scandalo per la presunta riscossione di tangenti negli acquisti pubblici di medicinali per disabili. La potente sorella del presidente argentino è stata accusata, per via di alcuni audio, di avere preso il 3% dall’ex capo dell’Agenzia nazionale per la disabilità, Diego Spagnuolo: audio rivelati dal canale di streaming Carnaval, e che recentemente Milei ha avuto l’ardire di dichiarare prodotti dell’intelligenza artificiale usati dai suoi nemici politici.
Ma, oltre al coinvolgimento negli scandali – sempre negato da Milei, ma che hanno deluso parte dei suoi sostenitori –, a pesare è la contrazione delle attività economiche, da maggio in poi: il che porta la maggioranza degli argentini a pensare che l’economia sia attualmente in cattive condizioni e che potrà peggiorare nei prossimi sei mesi. La prima metà del 2025 mostra un’evidente stagnazione e, da febbraio, c’è una tendenza al ribasso che può trasformarsi in recessione nel secondo semestre. L’Indec, l’ufficio statistico statale, ha confermato il calo nel rapporto del secondo trimestre del 2025. Il Pil è cresciuto del 6% su base annua, ma è sceso dello 0,1% rispetto al primo trimestre dell’anno. I consumi sono diminuiti dell’1,1% nello stesso periodo.
Il problema principale di Milei è quello di tenere a bada l’inflazione, almeno fino alle elezioni. Il suo partito è in minoranza in entrambe le camere, e ha bisogno di aumentare i propri seggi se vuole procedere ai cambiamenti strutturali che propone. Per questo è ricorso a una politica difficilmente sostenibile a lungo termine. Una politica che già in passato, ai tempi di Carlos Menem, aveva messo fine all’iperinflazione, ma che, una volta venuto meno il sostegno della Banca centrale, era sfociata, nel 2001, nella crisi del corralito (la restrizione al ritiro del contante) e nella insolvenza nei pagamenti.
A causa della sua debolezza parlamentare, giorni fa, la Camera dei deputati ha respinto i veti che Milei aveva posto sulle leggi sul finanziamento universitario e sull’emergenza pediatrica. Ora la procedura passa al Senato, dove tutto indica che il risultato sarà identico. Questo voto segue quello con il quale, all’inizio di settembre, il Congresso aveva respinto per la prima volta un veto di Milei a una legge che concedeva più fondi per la disabilità, il settore scosso dalle accuse di corruzione che coinvolgono Karina Milei. Mentre i deputati votavano, ha avuto luogo una nuova grande marcia universitaria guidata da rettori, insegnanti, non insegnanti e studenti, cui si sono aggiunte anche organizzazioni sociali, sindacati e familiari degli studenti. Lo scopo della mobilitazione era quello di chiedere una legge sul finanziamento universitario, che aggiorni il budget destinato alle università nazionali in base all’inflazione del 2023 e del 2024.
Con ogni probabilità, la tensione tra la piazza, il Congresso e la Casa Rosada aumenterà nelle prossime settimane, dato che il governo è indebolito, l’opposizione è ringalluzzita e il Pro (il partito di destra dell’ex presidente Mauricio Macri) si è spaccato sull’appoggio a Milei. Tutto ciò rende più arduo il lavoro del presidente, teso a far avanzare un piano di aggiustamento senza poter contare su ampie alleanze, mentre a livello sociale aumenta la mobilitazione. Così diventa ancora più cruciale l’appuntamento elettorale di ottobre. Risulta evidente che governare con i veti non porta a buoni risultati, quando si affrontano temi come la salute o l’istruzione. Alla fine, quello che è emerso non è solo un’opposizione coesa, ma anche che gli alleati di Milei hanno scelto di dissociarsi dall’uso della motosega su materie percepite come intoccabili dai cittadini. L’esito del voto dei deputati era atteso, ma la sua percentuale massiccia ha rivelato la fragilità delle alleanze su cui può contare il governo, e ha appunto approfondito la frattura interna al partito dell’ex presidente Macri, tra coloro che puntano a sostenere l’alleanza tattica con Milei, e coloro che ritengono che appiattirsi sui tagli eroda l’identità del partito, evidenziando inoltre i limiti di una strategia di confronto-scontro che, finora, Milei è stato riluttante a modificare.
La domanda è se Milei sarà quindi in grado di portare avanti il suo programma di governo senza tessere accordi politici più ampi e, soprattutto, se è disposto ad ascoltare l’umore della piazza per ridefinire la sua strategia. Se, in altre parole, sarà capace di costruire il consenso, anziché puntare sul confronto-scontro permanente, tenuto conto che appare sempre più evidente come la rigidità delle posizioni ufficiali non mobiliti solo la società civile, ma preoccupi anche gli attori del potere economico.
Poco dopo l’esito delle elezioni nella provincia di Buenos Aires, Milei aveva stupito un po’ tutti dicendo che “il peggio è già passato”, e annunciando con un tono pacato, in lui del tutto inusuale, che nel 2026 aumenterà le spese per pensioni, salute, istruzione e disabilità, i settori più colpiti dal draconiano aggiustamento fiscale ultraliberale. Con la precisazione, tuttavia, che l’equilibrio fiscale rimarrà un “principio non negoziabile” e una “pietra angolare” della sua gestione. Un cambio di rotta, al momento solo a parole, che probabilmente è giunto fuori tempo massimo.
A ruota, Axel Kicillof, governatore peronista della provincia di Buenos Aires, ha liquidato i buoni propositi del presidente, affermando che “il problema di Milei è che ha venduto specchi colorati nella campagna, ha detto che avrebbe fatto una politica originale, nuova, perché avrebbe fatto un aggiustamento che questa volta sarebbe stato solo per la casta”, e che invece ha finito col colpire i pensionati e altri settori. Tutto questo con un bilancio governativo, per il 2026, che prevede una crescita del 5% del Pil, un’inflazione del 10,1% annuo, un surplus dell’1,4% del Pil e un valore medio del dollaro di 1.423 pesos, inferiore al prezzo attuale. Vedremo.
Per l’intanto, la Banca centrale argentina non accumula riserve e vende dollari per sostenere il peso all’interno della fascia di cambio stabilita, sollevando dubbi sulla capacità di rimborso. Da qui la necessità di dollari per sostenere il tasso di cambio. Per poter andare avanti con questa politica, il ministro dell’Economia, Luis Caputo, sta negoziando un prestito straordinario con il segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent, per un importo di trenta miliardi di dollari, che consentirebbe a Milei di pagare le scadenze del debito rafforzando le riserve della Banca centrale. “Tutte le opzioni per la stabilizzazione sono sul tavolo”, ha annunciato Bessent su X, confermando di stare valutando le modalità per aiutare Milei: “Queste opzioni possono includere linee di swap, acquisti diretti di valuta estera e acquisti di debito pubblico denominato in dollari statunitensi del Fondo di stabilizzazione delle valute del Tesoro”. Il presidente argentino vedrà sia lui sia Trump, martedì 23, quando presenzierà all’assemblea generale dell’Onu, e poi anche la direttrice del Fondo monetario internazionale. La decisione, da parte dei vertici degli Stati Uniti, ha dato sollievo al governo di Milei.
La sconfitta subìta dagli anarco-liberisti nella provincia di Buenos Aires ha generato preoccupazione che qualcosa di simile possa accadere nel prossimo ottobre, mentre pare che, nel frattempo, anche il mercato abbia perso la pazienza. L’indicatore Embi misura il rendimento delle obbligazioni sovrane emesse dai Paesi emergenti in relazione ai buoni del Tesoro degli Stati Uniti. Riflette il premio di rischio che gli investitori chiedono per finanziare un Paese emergente invece di collocare i loro soldi in buoni del Tesoro statunitensi. Si esprime in punti base, e un punto base equivale a 0,01%. Per esempio, se l’Embi dell’Argentina è a 1.456 punti, ciò significa che i titoli sovrani argentini rendono il 14,56% in più rispetto a un titolo del Tesoro statunitense a scadenza comparabile. Le obbligazioni argentine hanno avuto una performance fenomenale tra la fine del 2023 e tutto il 2024, al punto che il rischio Paese aveva toccato un minimo di 561 unità nel gennaio 2025. Ma i timori economici e politici hanno cambiato il panorama, e l’euforia, nel frattempo, è scomparsa, portando il rischio del Paese argentino a 1.456 punti alla chiusura del 18 settembre, il secondo valore più alto dell’America latina, peggiore solo di quello del Venezuela (16.354).
Ciononostante, Milei rimane ancora il leader più popolare, con un’immagine positiva del 44%, sebbene, lo scorso maggio, fosse al 50%. Di contro, Axel Kicillof – potenziale candidato alle presidenziali del 2027 – ha visto aumentare costantemente la sua popolarità, con circa il 39% degli argentini che – in settembre, rispetto al minimo del 26% in maggio – ha di lui un’immagine positiva. Milei, intanto, fa campagna col suo nuovo libro, che sarà presentato il 6 ottobre in un mini-stadio a Buenos Aires, capace di ospitare quindicimila persone. Il titolo, La construcción del milagro, conferma l’alta opinione che Milei ha della sua azione di governo. Non è la prima volta che il presidente presenta un libro; nel maggio 2024 aveva presentato, in un luna park, Capitalismo, socialismo y la trampa neoclásica. In attesa di quel Nobel dell’economia che, nel giugno del 2024, aveva detto di meritare, perché sta riscrivendo l’economia mondiale, gli argentini – nonostante l’inflazione sia passata dal 117,8% annuo, alla fine del 2024, al 33,6%, alla fine dello scorso agosto –, pur avendo ridotto le spese e aumentato le ore di lavoro, non arrivano a fine mese.








