La consolidata prassi, che prevede compostezza e niente battimani dai banchi al centro della Camera, quelli in cui siedono i rappresentanti del governo, è andata letteralmente in pezzi dopo il terzo voto di approvazione del disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere dei magistrati. Niente quorum dei due terzi (che eviterebbe il referendum) ma un bel bottino di 243 sì e 109 no, e un tifo da stadio che ha attraversato sguaiatamente ministri e sottosegretari, mentre, fuori dall’Aula, il Transatlantico, generalmente desolato, veniva ravvivato da una folla di deputati/e della destra richiamati con un perentorio messaggino a rispettare la presenza; e dove quasi risplendeva il pallore di Marta Fascina, che di solito non ci pensa proprio a venire alla Camera, ma stavolta sì per onorare il suo Silvio, nel giorno del terzo via libera della legge “ammazza magistratura”.
Gongolava anche il ministero degli Esteri, Tajani, perché che vuoi che sia Gaza di fronte alla separazione delle carriere? E Nordio, e la sua fida capo di gabinetto Bartolozzi, facevano su e giù tronfi e incuranti del tribunale dei ministri, e del salvataggio assicurato al torturatore Almasri, perché tanto i numeri ci sono per rispedire al mittente la richiesta di autorizzazione a procedere arrivata dal tribunale per quell’osceno favore agli amici criminali.
La controriforma costituzionale, approvata tra l’entusiasmo rozzo della destra e la mestizia della sinistra, modifica il Titolo IV della Costituzione, con l’obiettivo di separare le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti. Vediamo brevemente le novità:
– Due Csm: vengono previsti due distinti organi di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente.
– Composizione e sorteggio dei due Csm: la presidenza di entrambi i Csm è attribuita al presidente della Repubblica, mentre sono membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura giudicante e del Consiglio superiore della magistratura requirente, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale della Corte di cassazione; gli altri componenti di ciascuno dei Csm sono estratti a sorte per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal parlamento in seduta comune, e, per i restanti due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti: in quest’ultimo caso senza alcun riguardo per attitudine, volontà e capacità specifica, per gli altri viene stilato un elenco; l’asimmetria di trattamento è un proclama degli intenti punitivi verso i magistrati. Si prevede, inoltre, che i vicepresidenti di ciascuno degli organi siano eletti fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal parlamento. I componenti, designati mediante sorteggio, durano in carica quattro anni, e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva; i componenti non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali né far parte del parlamento o di un Consiglio regionale.
– Nasce l’Alta corte disciplinare: dopo la composizione, l’altra novità riguarda l’istituzione dell’Alta corte cui è attribuita la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, sia giudicanti sia requirenti. L’organo è composto da quindici giudici così selezionati: tre componenti nominati dal presidente della Repubblica; tre estratti a sorte da un elenco compilato dal parlamento in seduta comune; sei estratti a sorte tra i magistrati giudicanti, in possesso di specifici requisiti; tre estratti a sorte tra i magistrati requirenti, in possesso di specifici requisiti. Il presidente dell’Alta corte deve essere individuato tra i componenti nominati dal presidente della Repubblica, e quelli sorteggiati dall’elenco compilato dal parlamento. Si prevede la possibilità di impugnare le sentenze dell’Alta corte dinanzi all’Alta corte medesima, che giudica in composizione differente rispetto al giudizio di prima istanza. I giudici dell’Alta corte durano in carica quattro anni, e l’incarico non può essere rinnovato. L’ufficio di giudice dell’Alta corte è incompatibile con quelli di membro del parlamento, del parlamento europeo, di un Consiglio regionale e del governo, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica e ufficio indicati dalla legge.
Questa nuova architettura della magistratura spezza l’unicità della giurisdizione finora garantita dall’impianto costituzionale: non si separano le carriere, si spezza la giurisdizione tra chi giudica e chi accusa, due sfere che sarebbero divise definitivamente, se fosse approvata la controriforma, in due mondi privi di cultura e visioni comuni. Il pubblico ministero potrebbe venire fuori più spavaldo e autoreferenziale, in cerca di notorietà e di “prede”, ma anche più facile da attrarre dentro una dimensione governativa che ne ucciderebbe l’indipendenza. Se rappresentiamo, in uno stesso quadro, la separazione delle carriere, l’abolizione dell’abuso di ufficio e l’imminente intervento legislativo sulla colpa erariale che azzoppa la Corte dei conti (il disegno di legge del governo è al Senato), la prospettiva di uno scudo penale per le élite dirigenti e i colletti bianchi è dietro l’angolo.
Secondo i rumors del Transatlantico, la destra avrebbe l’intenzione di incassare la definitiva approvazione del Senato in tempi brevissimi, bruciando ogni passo regolamentare, come del resto ha fatto fin qui, per avviare la campagna referendaria alla quale anche l’Associazione nazionale magistrati si prepara ormai da tempo. “Abbiamo costituito un comitato a cui possono partecipare solo singole persone, senza un passato politico alle spalle, perché assolutamente non intendiamo apparire come fiancheggiatori di partiti politici”, ha detto Cesare Parodi, presidente dell’Anm, che mostra fiducia nell’efficacia di una campagna asettica dal punto di vista politico. Chissà se la fiducia è ben riposta; di certo ci sarà bisogno di una alleanza piena tra la politica e la società civile, perché la sfida è totale, diremmo definitiva. La destra, infatti, non intende solo vendicarsi di un potere dello Stato che si è trovato a svolgere un compito di contropotere contro corruzione e attitudine criminogena della classe politica – suo malgrado, e nonostante i suoi stessi esordi (la magistratura repubblicana è stata a lungo egemonizzata da persone di una cultura ereditata dal regime fascista) –, con questa manomissione costituzionale, Meloni e i suoi alleati intendono consumare la vendetta a lungo covata contro la Carta antifascista del 1948.









