Negli Stati Uniti, e non da ieri, si respira un’aria da pre-guerra civile, di cui il responsabile principale è proprio il presidente oggi in carica, lo stesso che il 6 gennaio 2021, sconfitto da Biden alle elezioni, si mise a parlare di brogli senza la minima giustificazione, aizzando di fatto i suoi a un tentativo di insurrezione che provocò morti e feriti. Definire Trump un golpista può sembrare eccessivo – ma non lo è, se si pensa che il suo emulo brasiliano, Bolsonaro, è stato di recente condannato a ventisette anni di carcere per avere intrapreso qualcosa di analogo. Il clima americano è poi aggravato da una violenza diffusa, imputabile alla facilità con cui negli Stati Uniti girano le armi, certo, ma anche a un oscuro malessere psicologico e sociale che spinge a commettere omicidi di massa del tutto irrazionali.
C’è qualcosa di simile in Italia? Neanche per sogno. Anzi, ci sarebbe da lamentarsi della generale acquiescenza o rassegnazione con cui è stato accettato o subìto un partito di maggioranza relativa che ha al suo interno (a parte Meloni, che è più giovane) alcuni dei protagonisti della peggiore militanza neofascista del secolo scorso. Il nostro Paese attraversò davvero una stagione di violenza politica. Cominciò con le bombe di piazza Fontana a Milano, nel dicembre del 1969, fatte esplodere per fermare il movimento di massa di quegli anni, studentesco e operaio, e poi, lungo l’arco degli anni Settanta fino alla strage di Bologna del 1980, si assisté a stragi e attentati coperti dai servizi deviati, come pure, d’altro canto, a un terrorismo di sinistra che cadde nella trappola di una rivoluzione impossibile, ispirata a modelli sudamericani come quello dei tupamaros. Tutto ciò però è alle nostre spalle: la fase che stiamo vivendo non assomiglia per niente a quegli anni.
Dunque, se nei mezzi di comunicazione utilizzati dai giovani (compresi quelli che pensiamo di poter considerare nostri compagni) si gioisce perché un tale di estrema destra è stato ucciso in America da un ragazzo molto probabilmente mentalmente squilibrato, questo appare un fatto del tutto marginale; come lo è, per quanto sia denso di significato emotivo, richiamarsi al 1945 e all’esposizione dei cadaveri di Mussolini e degli altri gerarchi fascisti in piazzale Loreto. Si era in quel momento alla fine di un’orribile guerra, oggi si tratterebbe semmai di non dimenticare, ma anche – e questo è essenziale – di stabilire le debite proporzioni tra il presente e il passato. Nessuna guerra civile è in atto, e richiamarla mediante un semplice parallelismo storico è un’illusione, oltre che qualcosa di politicamente avventato.
Più avventato appare, però, se non fosse invece del tutto strumentale, ingigantire un episodio isolato per lanciare una piccola campagna di allarme e vittimismo, come ha fatto Meloni: cosa che sembrerebbe anticipare, da parte del governo, chissà quale altro giro di vite repressivo dopo il famigerato “decreto sicurezza”. Il problema in Italia non sta nella violenza politica, quanto piuttosto nella passività con cui è accettata, dai più, una condizione di subalternità, di bassissimi salari, di mancanza di prospettive. A fronte di un’occupazione dichiarata in crescita, e dovuta in massima parte al boom delle imprese legate al turismo, non si vede una voglia di battersi per il miglioramento delle forme di vita. Si resta così in una sorta di precarietà psicologica, prima ancora che materiale, segno evidente della perdita di ogni spirito di progresso.
Proprio in questa temperie prendono corpo e si consolidano, al contrario, le spinte reazionarie. Il caso più eclatante è quello di Vannacci, che potrebbe tramutarsi a breve in una copia italiana di Farage (vedi qui), e dalla cui concorrenza perfino Meloni deve guardarsi, se si pensa che la presidente del Consiglio finora altro non ha fatto (soprattutto sul piano europeo e internazionale) se non cercare di accreditarsi come “moderata”. La coperta, si sa, è sempre troppo corta: se ti sbilanci politicamente da un lato, dal lato opposto rischi di scoprirti. Anche per questo l’animale politico Meloni non ha perso l’occasione di riequilibrarsi a destra mettendosi ad attaccare la “sinistra” (quale, poi?) che secondo lei sarebbe giustificazionista nei confronti della violenza. Noi qualcuno nel Partito democratico che esulti per l’uccisione di chicchessia non riusciamo a vederlo nemmeno con il cannocchiale. Quanto ai gruppi autonomi studenteschi fanno quello che vogliono, e si collocano d’altronde in un mainstream non italiano ma mondiale – quello della rete –, in cui prevalgono faciloneria e grossolanità nell’esprimersi.










